Come gestire l’atleta ipersensibile
“Ho sempre saputo di essere troppo sensibile. Fin da quando ero piccola mi accorgevo di non percepire le cose come gli altri bambini, ma di sentirle in maniera molto più profonda, intensa, lacerante, da qualche parte fra il cuore e la pancia. Però non riuscivo a esprimerle in nessuno modo…”
Federica Bosco – Scrittrice
Tra i tuoi giovani atleti potresti avere delle persone ipersensibili. Oppure tu stesso sei un atleta o allenatore ipersensibile e non lo sai. Sono persone con le quali occorre relazionarsi con un tipo di comunicazione diversa dal resto del mondo. Un dettaglio che, in termini sportivi, va preso in considerazione perché incide anche sulla performance. Lo stesso vale nella relazione con te stesso. Se scopri di essere una persona altamente sensibile e non sai come gestirla potresti trovarti in serie difficoltà. Un tema l’ipersensibilità oggetto di studi scientifici recenti dove ancora ci sono tante cose da scoprire, ma che vale la pena iniziare ad esplorare.
Attraverso l’articolo di oggi oltre a questo, vorrei anche mostrarti come ogni area della vita è strettamente interconnessa. Infatti se alleni la mente a diventare abile nel creare le connessioni, non hai idea di quante cose utili puoi imparare in modo trasversale da altri contesti: magari tendi ad escluderli perché credi siano troppo lontani da te. Spesso è qui che trovi le risposte alle tue domande o soluzioni a cui non avresti mai pensato prima. Se invece rimani confinato nel tuo “mondo” convinto che sia separato da tutto il resto, ti perdi un bel po’ di opportunità. Seguimi nel racconto di questa giornata speciale e capirai…:-)
STACCARE LA SPINA…
Uno degli esercizi mentali che cerco sempre di mantenere attivo è quello di staccare di proposito la spina allontanandomi il più possibile dallo sport per esplorare universi diametralmente opposti. Almeno… ci provo! Ma ogni volta i miei indisciplinati neuroni trovano sempre qualche connessione con lui. È già successo con l’arte, (leggi qui il mio articolo sull’allenamento mentale alla Galleria degli Uffizi di Firenze). Succede quando leggo un libro non sportivo o vado al teatro. Persino in cucina:la mente vaga con il solo obiettivo di creare e allontanarmi dall’azione reale: tagliare la cipolla per il soffritto :-)! Così il coltello, come una mazza da baseball, da golf o altro attrezzo sportivo, guidato da una mente occupata in altre faccende, anziché affettare l’ortaggio affetta una parte del mio indice destro la cui unica colpa è trovarsi nel posto giusto ma nel momento sbagliato. Totalmente fuori sincronia. Disallineata. La mente immersa in un mondo astratto a smistare il traffico di pensieri, come se fosse la circonvallazione di Milano nell’ora di punta ( e non è piacevole), mentre il corpo deve arrangiarsi da solo a eseguire “il gesto tecnico”. Povero… è anche in grado di eseguirlo. Ma se i piani alti fossero un po’ più collaborativi, forse il mio sfortunato indice non si sentirebbe ridicolo ad andare in giro fasciato come un salame. Ti ricorda qualcosa questo episodio? non è che per caso in gara… No? :-)!
Hai appena scoperto che puoi allenare la mente anche in cucina :-)….zero scuse!!
Tutto potevo però immaginare tranne che, a un seminario di scrittura dal titolo “Il femminile ironico” organizzato dalla casa editrice Morellini con la scrittrice milanese Federica Bosco – nota al grande pubblico per il suo best seller Mi piaci da morire – ed.Newton Compton, e altri libri di successo trasferiti anche sul grande schermo, ancora una volta i neuroni riuscissero a trovare collegamenti trasversali con pedane di ginnastica, scherma, piscine o campi di pallavolo.
In passato avevo già letto alcuni suoi romanzi apprezzandone l’ironia, protagonista assoluta di una trama che vorresti fosse uscita da un film di fantascienza. Tanto sembra assurda quanto invece tristemente reale. A tal punto che per il lettore è inevitabile ritrovare similitudini con le proprie di disavventure. Inoltre essere ironici in situazioni di tensione, come ad esempio una gara, aiuta ad allentarla.
Non è facile scrivere su temi che riguardano la sofferenza interiore, il rapporto conflittuale con i genitori o le delusioni d’amore. Ci vuole una sensibilità fuori dal comune e un percorso di accettazione del dolore prima di trasformarlo in una storia scritta con la giusta dose di ironia. Quel quanto basta che rende la lettura leggera, permettendo alla nostra mente di riderci…un po’ su, lasciandosi il passato alle spalle.
Federica oggi è una scrittrice e sceneggiatrice con all’attivo numerose pubblicazioni. Eppure in questo mondo è arrivata quasi per caso in un momento della sua vita dove per la legge di Murphy «Se qualcosa può andar male, andrà male»… e tutto andava infatti dannatamente male. Perde il lavoro la vita sentimentale non è delle migliori, e inizia a scrivere per gioco trovando nella scrittura un’alleata per superare con il sorriso il periodo poco brillante. Il resto è…storia attuale!
COME GESTIRE L’ATLETA IPERSENSIBILE
Ma cosa c’entra Federica Bosco con lo sport?
C’entra perché il suo saggio dal titolo: Mi dicevano che ero troppo sensibile Ed.Vallardi, rappresenta un manuale pratico che descrive con semplicità come comunicare con una persona altamente sensibile. Probabilmente tra gli atleti, figli, o anche tu stesso potresti scoprire di avere le caratteristiche dell’ipersensibilità. Pertanto il saggio è:
- Utile per trovare risposte a chi intuisce di esserlo senza esserne consapevole.
- Utile a chi deve entrare in comunicazione e relazione con le persone ipersensibili.
Ultimato la lettura, oltre a essermi riconosciuta in questa ipersensibilità e aver trovato finalmente risposte a tante cose, mi sono resa conto quanto sia indispensabile per qualsiasi allenatore, ad esempio, comprendere gli atleti ipersensibili. La maggior parte, non tutti per fortuna, utilizzano una modalità standard di comunicazione pensando che il metodo funzioni in egual misura. Ad esempio alcuni usano stimolare i propri atleti urlando parole irripetibili in questa sede, portandoli anche all’umiliazione. Dietro questo comportamento c’è la convinzione che sia la strada migliore per ottenere il massimo da lui. Con alcuni può funzionare, ma con altri no. Anzi in certi casi peggiorano la situazione. Soprattutto se sono giovani e inesperti, l’allenatore crea insicurezza, scarsa fiducia nei propri mezzi, installa la paura di commettere errori, con frasi del tipo: Ti raccomando. Non sbagliare!!! Dette tralaltro poco prima della gara. Ma l’atleta lo sa già… inutile rincarare la dose. Si ottiene solo un aumento del livello dell’ansia da prestazione.
Federica ha vissuto un’esperienza simile con l’istruttore di nuoto il giorno che decise di smettere di praticarlo. Ti chiedo di prestare molta attenzione alla dinamica perché è comune in tante discipline. Vediamo com’è andata… e cerchiamo di trarre degli spunti su cui riflettere e applicare in modo trasversale anche nello sport. A questo…ovviamente ci penserai tu :-)!
INTERVISTA A FEDERICA BOSCO: L’ESPERIENZA CON IL NUOTO
Ciao Fede, grazie per quest’intervista e partirei subito con il racconto di questo episodio sportivo che ti ha segnata. Quanti anni avevi e cos’è accaduto quel giorno in piscina…
«Avrò avuto sì e no 10 anni quando i miei mi mandarono a lezione di nuoto insieme alle amiche di classe. Le nostre mamme ci spostavano in blocco da una disciplina all’altra e il lunedì era nuoto a prescindere se ti piaceva o meno. Sono sempre stata una bambina fifona, con un temperamento molto cauto tipico degli ipersensibili che stanno sempre all’erta per anticipare il pericolo. Ma all’epoca non lo sapevo e tutto quello di cui ero certa era che odiavo l’odore del cloro, l’eco ovattato delle voci che rimbombavano nella piscina, la cuffia stretta e ultimo ma non per ordine di importanza l’acqua!
Le mie amiche erano già delle mezze campionesse di stile libero e una di loro mi propose di dire all’insegnante che sapevo già nuotare così da essere messa nello stesso corso. Idea che mi parve subito pessima! Quando l’insegnante, un tipo sulla trentina, si avvicinò per chiederci a che livello eravamo io, nel panico, feci il famoso gesto del “così così” con la manina, che era già molto più della mia reale capacità natatoria! Lui mi rispose come evidentemente era abituato a fare con i suoi atleti olimpionici non tenendo conto che ero poco più di un girino, e mi disse con un’arroganza insensata in fiorentino pesante “allora guarda il tesserino puoi anche strapparlo perché io con quelli indecisi non so cosa farci!” e mimò il tesserino strappato. Inutile dire che finì all’istante la mia carriera di nuotatrice e che imparai grazie al mio nonno uomo incredibilmente buono e paziente.»
Che tipo di atteggiamento ti saresti aspettata dall’allenatore?
«Un atteggiamento accogliente, che tenesse conto delle mie reali difficoltà. Un incoraggiamento, un abbraccio, un sorriso, uno “stai tranquilla ci sono io, so come ti senti, ci sono passato, ma vedrai che ti divertirai”. Un bambino ipersensibile va semplicemente rassicurato, perché è più delicato degli altri, e il suo cervello elabora molte più informazioni della media, tutti gli stimoli, i dubbi, le domande, i rischi, invadono il suo cervello a una velocità pari a quella dei dati di un modem in download con la fibra e deve processarli insieme. Se in più viene considerato un peso, e (peggio ancora) se gli altri bambini cominciano a bullizzarlo, finirà per sentirsi sbagliato e diverso.»
Dopo quest’episodio hai deciso di lasciare il nuoto. Hai poi riprovato in un’altra disciplina?
«Ho studiato danza classica per molti anni, ma posso dire che è stato anche peggio, ma quello è un ambito particolarmente difficile e competitivo dove vigono regole ferree e se non sei più che perfetta non è nemmeno il caso di provarci. Tutto sommato queste esperienze mi hanno convinta ad evitare gli sport di squadra perché la competizione mi mette in agitazione.
Più tardi ho cominciato a studiare lo yoga e sono diventata insegnante di Astanga. Una disciplina che, al contrario, focalizza sull’equilibrio interiore e l’unica competizione è quella con se stessi, i progressi che fai sul tappetino li porti nella tua vita.»
RICONOSCERE L’IPERSENSIBILITA’
Qui si parla di nuoto ma vale anche per il maestro di musica, l’insegnante e i genitori che sono i primi allenatori dei figli. Nonostante il tema sia complesso, Federica descrive l’ipersensibilità osservandola da diversi punti di vista. Inoltre mette a disposizione la sua più intima esperienza per accompagnare il lettore in questo viaggio con esempi pratici e contestualizzati nella realtà di tutti i giorni. Traspare con chiarezza un gran lavoro di introspezione dell’autrice e una ricerca scientifica approfondita che la portano ad inserire riferimenti specifici per ogni sfumatura sul tema, rendendo il manuale scorrevole da leggere e arricchente.
Com’è nata l’idea di scrivere questo saggio e quanto tempo hai impiegato per effettuare tutte le ricerche…
«La scoperta è avvenuta pochi anni fa, quando ho letto il libro di Rolf Sellin “Le persone sensibili hanno una marcia in più” edito da Feltrinelli, ho avuto una rivelazione. L’ho sottolineato tutto, finalmente un nome per le mie sensazioni che mi attanagliavano dalla nascita, il senso di inadeguatezza, l’essere considerata strana da tutti (soprattutto i miei genitori) perché non reagivo come gli altri bambini, ma andavo sempre oltre con l’immaginazione, con il mio sentire così sottile, così intenso, il mio “essere troppo”.»
Essere ipersensibile significa “processare” le informazioni attraverso l’emisfero destro, quello dell’emotività, come dire che tutto passa dal cuore per noi. E solo il 30% della popolazione mondiale funziona così. Il restante 70% è un emisfero sinistro, pragmatico, lineare, poco incline alla sensibilità e alla creatività. Per questo per noi uscire nel mondo è una fatica tremenda, perché veniamo letteralmente travolti da sensazioni, emozioni, fisiche ed emotive nostre e degli altri. Siamo spugne senza difesa che non riescono ad imporsi per paura di disturbare e che sono stati cresciuti a suon di “sei sbagliato e fai come gli altri” invece di “tu funzioni in una maniera diversa e troviamo delle alternative”.
Spero fortemente che la scuola cominci ad adeguarsi perché i soggetti ipersensibili che hanno un potenziale unico (tutti gli artisti sono in qualche misura ipersensibili) vengono sviliti e mortificati con un sistema che per loro semplicemente non funziona, mentre basterebbe così poco.»
Grazie al tuo lavoro, molte persone potranno trovare delle risposte. Ci sono ancora dei dettagli che ti piacerebbe sviluppare per un secondo saggio o magari affrontare un altro argomento?
«È un argomento talmente nuovo e in divenire che spero di poter condividere nuovi approcci e nuove soluzioni e kit di sopravvivenza in modo da dare speranza e fiducia, la stessa che non ho avuto per quasi tutta la mia vita.»
Ho ascoltato la versione audio del tuo libro con la recitazione di Alessandra De Luca e l’ho trovato molto coinvolgente. Riesce a trasmettere, attraverso le tue parole, la serenità con la quale affronti un argomento ancora oggi fonte di un allenamento continuo per proteggerti dalle situazioni. Con la differenza che hai gli strumenti per farlo. Cosa ha rappresentato scrivere questo libro tirando fuori il tuo “gioco interiore”?
«È stata un’emozione immensa, ma non avevo idea che avrei raggiunto così tante persone. È un libro che in pochissimo tempo è stato ristampato più volte perché le persone si sono riviste, e hanno potuto condividere i miei stati d’animo che io stessa credevo essere l’unica a provare. Tutto quel sentirmi sola, confusa, sbagliata, il mio continuo tentativo di far contenti tutti senza far contento nessuno, la depressione, il dolore infinito.
Ho cominciato a studiare tutto sull’argomento, i testi di Elaine Aron la pioniera che per prima negli anni 80 ha cominciato a trovare una correlazione fra determinate sensazioni e il tratto di ipersensibilità. Ho poi conosciuto La dottoressa Elena Lupo che si occupa di bambini ipersensibili a Bologna e piano piano tutto ha avuto un senso.»
Cosa ti senti di suggerire alle persone che sono altamente sensibili?
«Di cominciare ad esplorare il proprio tratto con curiosità e gratitudine. Imparare a proteggersi dagli stimoli, capire che la nostra batteria si scarica più facilmente di quella degli altri e quindi dormire molto, stare all’aria aperta, circondarsi di poche fidate persone, e leggere moltissimo sull’argomento.»
Adesso ti sei fatto un’idea sull’ipersensibilità?
CONCLUSIONE
Mi sono soffermata molto sulla relazione tra tecnico e atleta ma vale anche il contrario, così come per il rapporto tra genitori e figli o in altri tipi di relazione. Si evince con chiarezza quanto nella performance sia indispensabile creare un rapporto di fiducia basato non solo sull’aspetto tecnico ma soprattutto umano. Una parte che spesso manca per mettere in condizione l’atleta di esprimersi al massimo delle sue possibilità. Non significa che bisogna usare sempre e solo la carota. Ci vuole anche il bastone. Ma per trovare il giusto equilibrio occorre sempre prima imparare a capire quale modalità comunicativa e motivazionale funziona. Le persone non siamo tutte quante uguali. Per fortuna…
Oggi più che mai nella prestazione sportiva è indispensabile includere il lato umano. Dovrebbe essere scontato. Invece se ho scritto quest’articolo… e se considero questo libro tra quelli formativi indispensabili, vuol dire che nel sistema sportivo, specchio della società in generale, dobbiamo rimetterci in discussione e chiederci dov’è finita la nostra “normale sensibilità” verso gli altri. Oppure siamo troppo centrati sui nostri obiettivi da ritenere “gli altri” solo uno strumento attraverso il quale raggiungerli?
Buona riflessione e ritorniamo umani! 🙂
Ringrazio di cuore Federica per essersi prestata a questa connessione trasversale tra il suo libro e lo sport.
Questi sono i libri consigliati per cominciare a documentarsi sull’ipersensibilità e alla fine troverai il link per iscriverti alla mia newsletter ed essere sempre aggiornato sui nuovi articoli. Non mi piace per prima ricevere spam 🙂 quindi manderò le mail solo quando penso di volerti comunicare qualcosa utile per te!
(foto di copertina Archivio personale Federica Bosco. Altre immagini google)
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