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TUTTO INIZIA CON LA PAURA DEL PRIMO PASSO-Intervista al funambolo Andrea Loreni

Tutto inizia con la paura del primo passo

Intervista al funambolo italiano Andrea Loreni
 di Aurora Puccio
Sono salito sul cavo in cerca della libertà. Lassù ho iniziato a frequentare la paura di morire, un sentimento che distrae dalla vita e da cui volevo liberarmi” – 
Andrea Loreni filosofo e funambolo

PROLOGO:LA PRIMA VOLTA SUL CAVO

Tutto inizia con la paura del primo passo.
E poi un altro ancora.
Uno alla volta seguendo il proprio ritmo e restando centrato sul corpo.  Sul qui e ora.

Non c’è spazio né per il passato, né per il futuro.
Esiste solo quel momento.
Parti da un punto per raggiungerne un altro. Nel mentre c’è la vita con i suoi imprevisti. Le sue distrazioni, come un cambio meteo improvviso. Il canto di un uccello. La sinfonia della natura che accompagna ogni singolo passo.

Se nelle difficoltà riesci a intravederne la bellezza sottesa, in ciò che possono insegnarti, allora c’è spazio anche per sentire quell’istante quasi sfuggente in cui ti senti totalmente connesso nella mente, nel corpo e nell’anima.

Soprattutto c’è lei. La paura.
Paura di sbagliare. Di cadere. Di non farcela. Vorresti non averla accanto. Poi scopri quanto sia necessaria e allora inizi ad accettarla. A conviverci. Quasi a ricercarla. Sai che senza di lei quel primo passo non potrà mai esistere.

LA LEZIONE APPRESA

Questo è quello che mi ha insegnato l’esperienza di camminare sul cavo. Anche se ad un altezza limitata la sensazione che ti trasmette è quella di affidarsi al corpo e non alla mente. Quando i pensieri tendono a sovrastarti, come il non sentirsi all’altezza, il temere il giudizio altrui, il peso delle aspettative personali, il cavo trema e rischi di cadere. Al contrario, quando inizi a portare l’attenzione sul respiro, a rilassare il corpo e a distenderlo, ritorni ad essere nell’unico tempo che esiste: il presente. Allora il cavo smette di tremare.

La paura allenta la presa e senti dentro di te liberare una pace pronta a sostenere con rinnovata fiducia il passo successivo. Tutto è energia, vibrazione. Ciò che pensiamo vibra. Si riflette subito nelle nostre azioni e il cavo te lo restituisce con gli interessi. Senti proprio fisicamente quello che fino a quel momento era solo un dialogo interno, fastidioso e astratto, con te stessa che diventa reale.

Scopri anche che ricercare l’equilibrio è un’utopia. Un istante che non puoi trattenere per sempre. E allora prendi consapevolezza che occorre imparare la capacità di danzare nel disequilibrio. Che ogni passo non è uguale a se stesso e porta con sé un significato che solo tu puoi comprendere.
Che accettare la paura e saper abitare il disequilibrio non sono ostacoli da superare ma strumenti per arrivare a compiere quell’ultimo passo. Il più impegnativo.
Se pensi di essere arrivata ancor prima di averlo compiuto, cadi.

Ti costringe a prepararti a quell’istante in cui sentirai il tuo piede lasciare il contatto del cavo per unirsi all’altro che ha già raggiunto il traguardo ed è lì che lo attende per celebrare insieme l’arrivo.

Poi ti giri guardi il percorso fatto e pensi quanto incredibile sia stato viverlo grazie a quel primo passo pieno di paura.

Petit, P: To Reach the Clouds: The Walk film tie in : PETIT,PHILIPPE: Amazon.it: LibriL’INCONTRO CON IL CAVO

Tutto è iniziato con il film The Walk che racconta la storia del funambolo francese Philippe Petit chiamato anche l’U0mo delle Torri per aver camminato nel 1974 su un cavo sospeso tra le due Torri Gemelle di New York per 45 minuti, ricoprendo la distanza per ben otto volte avanti e indietro e senza nessun sistema di sicurezza.

Mi ha talmente incuriosita l’idea di capire cosa si prova a restare sospesi nel vuoto, che in me è nato il desiderio di mettermi in gioco e diventare per qualche giorno anche io una funambola.
Tranquilli, niente di pericoloso. Alle volte per vivere determinate esperienze non occorre portarle agli estremi. È sufficiente coglierne l’essenza anche nella loro semplicità di esecuzione.

Una volta espressa l’intenzione occorreva trovare il modo per realizzarla. Così scopro per caso un documentario dal titolo Any step is a place to practice che racconta la traversata del funambolo italiano Andrea Loreni, l’unico in Italia specializzato in traversate a grandi altezze, eseguita nel 2017 sul lago del tempio zen di Sogen-ji, in Giappone.

È il caso di dirlo che mi catapulto sul suo sito e coincidenza, da lì a breve c’è proprio un laboratorio epserenziale.
Non ci penso due volte. Con la mente sono già lì. Tanto a lei viaggiare non le costa nulla. Ricordo però a me stessa che per esserci davvero, devo entrare in azione con il corpo, precisamente con le mie mani e digitare la mail per l’iscrizione.
Fatto!

(ph Giulia Mantovani)

(ph Giulia Mantovani)

INTERVISTA AL FUNAMBOLO ITALIANO ANDREA LORENI

È passato ormai un anno da quando ho incontrato Andrea per la prima volta per vivere l’esperienza del cavo e per la quale gli sono molto grata. Però da appassionata di storie desidero andare oltre l’aspetto performativo del gesto tecnico e scoprire l’uomo dietro il ruolo di funambolo.

Cosa lo ha spinto ad intraprendere una strada insolita, fuori dagli schemi?
Cosa prova ogni volta che guarda il mondo da una prospettiva privilegiata?
Come il cavo ha permesso di evolversi come artista e come essere umano?

Torinese di nascita, Andrea ha studiato filosofia teoretica e ben presto comprende che non è sufficiente. Seppur il pensiero sia in sé azione, senza l’integrazione fisica con il corpo, resta fine a se stesso. Soprattutto quella basata sulla logica occidentale fin lì studiata. Così va alla ricerca di qualcosa che gli permetta di raggiungere il suo scopo.

Per primo incontra l’arte del teatro di strada e circense, per poi scoprire la via del cavo che lo ha portato anche ad avvicinarsi alla meditazione Zen da cui nasce poi il documentario sopra citato.

Seduti all’aperto con la fontana di Piazza Gae Aulenti a Milano a farci da sfondo, Andrea e io ci gustiamo una tonica fresca riscaldati dal un sole primaverile piacevole. Nonostante tutto attorno a noi sia pervaso dalla tipica frenesia milanese dove tutto scorre con rapidità, ci immergiamo nella nostra chiacchierata incuranti della vita veloce che ci passa a fianco. Osservo i suoi occhi azzurri, intensi e curiosi, ed entro in una bolla dove i rumori in sottofondo si abbassano quasi a scomparire.

Cosa hai trovato nella via del cavo che non riuscivi a trovare in altre strade?
«Fa parte di quel processo di ricerca cominciato con la filosofia. Sentivo che questo approccio alla conoscenza non mi bastava. Quando ho conosciuto l’arte del funambolismo, mi sono trovato con sorpresa di fronte a quella verità e autenticità che non era più dettata da un essere riflessivo. Ma da un essere autentico, che è diverso dallo speculare la verità con il solo esercizio del pensiero».

È come se grazie al cavo tu avessi trovato l’unione tra mente, corpo e anima?
«In un certo senso si. Avevo dato troppa importanza alla parte della mente. Poi ho unito l’esercizio del corpo per scoprire che non sono in conflitto e che insieme poi formano l’essere. L’essenza della nostra parte umana che più o meno consapevolmente cerchiamo tutti. Di recente ho fatto un incontro con un maestro yoga francese che spiegava come la spiritualità è collegata con la libertà».

E tu quando sali sul cavo ti senti libero?
«Si sono molto libero. Il rischio è molto alto per cui ti conviene essere quello che sei, piuttosto che spendere tempo ed energie per far finta di essere qualcos’altro. Vivere sentimenti che non hai o trasmettere altre verità che non sono di quel momento».

Quando è scoppiato l’amore per il cavo e che sensazioni hai provato la prima volta?
«Non lo chiamerei amore. Non sono innamorato del cavo. Lo considero più una sorta di necessità. Sento che è la strada che devo percorrere. Una strada critica, pericolosa che magari lascia spazio anche a sensazioni di amore per quello che fai ma non è la sua funzione. Per me è importante riuscire a trasferire quell’intensità di esistenza che ogni volta mi restituisce il cavo, nella vita di tutti i giorni».

Appunto come si fa a mettere in atto questo trasferimento. Immagino sia molto impegnativo…
«È una buona domanda. Ci sto lavorando. Sul cavo il rischio di cadere, ti costringe ad essere più denso, più presente. Nella vita quotidiana il rischio esistenziale è quello di non vivere perché si è sempre con la testa da un’altra parte e
abbiamo una percezione inferiore del rischio. Quante volte guidiamo l’auto guardando il cellulare? È il segnale evidente di essere totalmente assenti a noi stessi. Invece dovremmo vivere istante per istante concentrando tutto il nostro essere in quello che facciamo. Un modo per farlo è quello di portare il focus sulle sensazioni del corpo, invece di andare dietro ai pensieri che ti portano o indietro nel passato o troppo avanti nel futuro».

Lavare i piatti, per lavare i piatti come diceva il monaco e poeta vietnamita Thích Nhất Hạnh nel suo libro Il miracolo della presenza mentale (ed. Ubaldini Editore Roma)

«Si esatto, proprio questo. Ogni attività quotidiana può essere trasformata in una sorta di meditazione e restare centrati sull’azione fisica. Se all’inizio lavare i piatti può sembrare un’attività poco stimolante, quando lo fai con tutto il tuo essere comincia ad avere un’altra forma decisamente più interessante».

Guarda caso quando riusciamo a essere in questo stato mentale cosa succede per magia?
«Siamo in armonia con noi stessi. Entriamo in uno stato di grazia, di flusso dove tutto scorre senza sforzo. Riesci ad apprezzare quel momento perché è vita».

Pillola di sport mental coaching: Aggiungo che questo stato nella performance è noto come stato di flow detto anche trance agonistica, essere nella propria bolla, auto-ipnosi. Tutti sinonimi che esprimono lo stesso stato: ossia quella capacità di essere in un’altra dimensione dove tutto fluisce senza essere colpiti da interferenze esterne e/o interne. Questo stato è possibile ricrearlo tutte le volte che si vuole a patto che venga allenato esattamente come viene allenato il corpo per eseguire il gesto tecnico.

Al funambolismo hai associato la pratica Zen, com’è ti è venuta l’idea di creare questo progetto?
«Mi è venuto spontaneo unire le cose. All’inizio non erano collegate. Ho praticato la meditazione zen seduto sul cuscino ed è davvero molto faticoso per il corpo. Poi ho riportato la pratica sul cavo e ho capito che le due cose potevano essere connesse con il vantaggio che con il cavo, questa connessione mente, corpo e spirito, avviene con più facilità. Il corpo è l’unico aggancio che abbiamo nel qui e ora. Con la mente sei sempre da un’altra parte. Non sono custode della verità. Mi limito solo a condividere alcuni vissuti miei. Quando si pratica la meditazione per tenere a bada la mandria di pensieri, devi lasciare la mente libera di pascolare. Sta a noi portare l’attenzione sul corpo, nonostante ad esempio la posizione del cuscino sia dolorosa perché anche il dolore è uno strumento per stare nel qui e ora. Accettare quello che stai sentendo in quel momento».

Praticamente l’opposto di come la società cerchi in tutti i modi di rimuovere qualsiasi forma di dolore e portarla tutto al positivo tralasciando che entrambi sono le due facce della stessa medaglia e quindi funzionali.

«Si infatti, e non solo riferito al dolore ma tende a rimuovere qualsiasi tipo di scomodità. Cioè la comodità ci sta fregando. Siamo diventati incapaci di stare in situazioni nuove, scomode che ci mettano a disagio come succede con il cuscino. Tutto deve essere facile e comodo. Come se fossimo immortali fisicamente, approccio che ci porta a vivere una vita superficiale. Invece pensare alla morte ha una sua funzione positiva che è quello di ricordarci di vivere ogni giorno nel presente e di godere di quello che abbiamo».

Leggendo il tuo libro Breve corso di funambolismo per chi cammina col vento (Ed. Mondadori), mi ha subito conquistata l’incipit che riporto di seguito:

Sono salito sul cavo in cerca della libertà. Lassù ho iniziato a frequentare la paura

di morire, un sentimento che distrae dalla vita e da cui volevo liberarmi

Qual è il tuo rapporto con la paura, come riesci a trasformarla e cosa ti ha insegnato il cavo?
«Prima di tutto che si possono fare le cose anche con la paura. È un aspetto della nostra vita, come il dolore. Negarlo è come se ci stessimo togliendo un pezzo di vita che può portare a restare paralizzati senza fare mai niente. La paura si riesce a viverla accettandola. È un sentimento umano che ci permette di stare in guardia. Sul cavo ad esempio mi permette di avere un livello di attenzione più alto. Ti dai il permesso di viverla. Alle volte abbiamo paura di aver paura. Ancor prima che si manifesti. Facile dirlo a parole, lo comprendo però è la vita. Facciamola arrivare la paura e accettiamola. Questo è un pensiero che mi ispira e mi aiuta. È un passo del mio cammino».

Qual è quindi il rovescio delle medaglia della paura?
«La libertà. Mi ha dato la libertà di sentirmi libero di viverla. Sono sorpreso di quello che ho fatto e delle altezze raggiunte. Se all’inizio non mi fossi concesso di aver paura, l’alternativa era non camminare sul cavo. Non ho mai pensato di dominarla. Ho sempre pensato di esplorarla per vedere dove mi portava. Senza l’idea di vincerla».

Qual’è stato uno dei momenti in cui hai avuto quel tipo di paura che ti ha fatto pensare, ma chi me lo fa fare?

«Una delle prime camminate a Torino. Ho avuto particolarmente paura allora perché l’installazione tecnica non era molto efficace e il cavo era particolarmente ballerino. Tornassi indietro la cambierei. Ero all’inizio, stavo imparando e mi ricordo che è stata una sensazione spiazzante. Diversa dalle  altre paure.

«L’altra quella che ho fatto l’anno scorso a Frassinetto lunga 350m e alta 300m dove ho utilizzo una tecnica diversa. Anziché i cavi laterali per dare stabilità, avevo i tecnici sospesi che mi seguivano passo dopo passo, lungo la zip line di 1,5km di cui io percorrevo gli ultimi 350m. Era un territorio per me inesplorato dove la paura di cadere, che c’è sempre, era più amplificata. Si avvicinava più a una performance sportiva che a un vero e proprio spettacolo. È la stessa tecnica che userò per la traversata del 26 Maggio qui a Milano dal Bosco Verticale al palazzo di Unicredit in Piazza Gae Aulenti all’iterno del Bum Circus il Festival delle Meraviglie».

A breve ne parleremo di questo evento, prima desidero chiederti come ti prepari a queste performance?
«Ho delle brevi routine di respiro alle quali non sono molto attaccato per evitare di esserne dipendente. Quindi nel caso non riuscissi a farle per tempo, al primo passo sul cavo, respiro e vado. È grazie al corpo che trovo la centratura perché è lui che mi suggerisce: “Lascia, ci penso io”. E anche se avessi un macigno, un peso per una serie di ragioni esterne al cavo, con il primo passo diventa tutto automatico e lascio andare via tutto alle spalle. Ho la sensazione di entrare in un’altra dimensione dove i piedi sono i protagonisti e poco alla volta mi portano in avanti».

Possiamo dire che il cavo aiuta a prendere consapevolezza di come sia il corpo a comandare e che la mente deve smettere di interferire?
«I pensieri ci sono. È impossibile non pensare. Non li ascolti. Li lasci entrare, li lasci uscire. Un po’ come tenere le porte aperte. Entrano ed escono ma non ti fai portare in giro. Stai sulla sensazione del piede, del corpo. Vivi la tua postura e armonizzi corpo e mente».

La sensazione invece di massima gioia e felicità quando l’hai esplorata?
«Quella che ricordo di più è stata nel 2011 la parte finale della traversata di Pennabilli in provincia di Rimini, tra il colle di Penna e quella di Billi. È stata la prima tra le più lunghe percorse di 320m e quando ho visto mia moglie e i tecnici all’arrivo, li ho visti per quelli che erano. Nella loro essenza. Senza le sovrastrutture della mente. Senza i filtri della mia interpretazione mentale. È durata un attimo ma ricordo bene la sensazione. Nella vita quotidiana è difficile perché abbiamo troppe distrazioni e siamo sempre sul piano mentale».

Esegui una performance individuale ma in realtà hai il supporto di una grande squadra. Senza di loro è impossibile fare quello che fai…
«Si adesso ho una mia equipe dove la fiducia sta alla base del nostro lavoro e della relazione. Un gruppo con cui siamo cresciuti insieme perché prima nessuno di loro aveva mai lavorato su questo genere di progetti e di performance. Insieme abbiamo studiato, ognuno ha condiviso i propri punti di vista e sviluppato insieme delle metodologie di cui l’ultima appunto è quella con il sostegno dei tecnici appesi al cavo per dagli stabilità.

Ritornando al discorso che facevamo prima in azienda, io cerco di dare spazio alla loro creatività e alla loro realizzazione personale all’interno del progetto. Intanto sono tutte persone che svolgono un lavoro che gli piace, e poi cerco di dargli appunto lo spazio per farli crescere».

Hai un sogno?
«Vivere sereno. (ridiamo) Dal punto di vista performativo camminare su un cavo in movimento sul mare installato tra due rimorchiatori».

Come fai a realizzarli questi progetti?
«Parlandone! Non ho fretta. Un po’ com’è successo per la traversata che farò il 26 Maggio. Anni fa avevo visto questi grattacieli e ho pensato che sarebbe stato bello creare una performance. Poi un giorno ho incontrato Francesca Colombo, direttrice generale culturale BAM, Biblioteca degli alberi Milano fondazione Riccardo Catella e organizzatrice del Bam Circus il Festival delle Meraviglie, e mi ha invitato. Lascio fluire le cose e poi accadono. Sempre se devono accadere. In pratica non esercito l’attaccamento alle cose e alle situazioni».

A proposito di serenità abbiamo parlato più di mente e di corpo, ma in tutto questo l’anima dove la collochiamo?Spesso le crisi nascono proprio da una sorta di disallineamento…
«La divisione mente e corpo penso sia una convenzione culturale che ci allontana dalla nostra essenza e quindi dall’anima. Quando invece mente e corpo si uniscono arriviamo a percepire questo senso di unità sia con noi stessi che con chi ci circonda. L’unità con il tutto».

Qual è il messaggio che ti piace trasferire attraverso il silenzio dei tuoi passi?
«La necessità di unire due punti. Crediamo che le cose siano in apparenza separate e poi scopriamo il potere per unirle. Un percorso complesso, difficile e che si può affrontare. Tutti abbiamo la possibilità di percorrere la nostra strada. Ci vuole un po’ di coraggio ad incamminarsi per raggiungere l’altra parte, con accanto ovviamente la paura, ma è possibile. Un passo alla volta».

Com’è il tuo rapporto con il passato, quando ad esempio cammini sul cavo e lasci un passo per andare avanti con l’altro?
«In verità se stai nel presente non ci pensi neanche che lo stai lasciando. Sei quello che stai facendo. L’importante è non affezionarsi al passo. Spesso lo vedo fare ai partecipanti durante i miei laboratori che si congelano in una posizione di comfort per non esplorare altre possibilità e subito dopo cadono. È una continua trasformazione. Celebrare quel passo mentre lo fai e poi dimenticarlo per andare avanti».

Mi piace molto il termine celebrare. Una parola che uso spesso con i miei atleti invitandoli a farlo e noto che faticano perché non si danno il permesso. Invece si tratta di un gesto simbolico importante che va fatto anche nei singoli passi, per l’appunto. Senza aspettare il podio.
«La meditazione è celebrare l’essere. Siamo legati alla cultura del risultato il cui raggiungimento implica che prima c’era qualcosa di peggio che andava migliorato. Ottenuto il risultato pensiamo che sia il momento perfetto. Ma lo era anche prima “perfetto”…quel momento. In realtà la perfezione non esiste. Esiste la vita che c’è tra un passo e l’altro e quindi ogni passo è una tappa del nostro percorso e va celebrato».

Finita l’intervista con Andrea che ringrazio di cuore per aver condiviso la sua essenza dietro l’arte del funambolismo, vi lascio con un ultima pillola di coaching per riflettere su come le paure siano legate tra loro da credenze e convinzioni limitanti. Per cui ad esempio, la paura di cadere, di essere giudicati è direttamente collegata con la convinzione che se cado sono un fallito anziché considerare la caduta come parte del processo necessario per raggiungere il traguardo. Allora a tal proposito vi condivido la mia personale esperienza.

CONCLUSIONE

Pillola di sport mental coaching: Il fallimento non esiste

Da ex atleta sento sempre la competizione e non più verso gli altri. Solo verso me stessa. Così al secondo laboratorio mi fisso che devo salire sul cavo più alto. Non ricordo bene l’altezza. Saranno stati circa 7 o 10 metri. L’ego ha preso il sopravvento. La deformazione professionale da atleta di voler spingere l’asticella sempre più in alto ti resta sempre. Il che non c’è niente di male. Portato in eccesso diventa un ostacolo.

Sono determinata. Forse anche troppo.
Mi sento sicura di non farmi male perché tanto c’è l’imbrago di sicurezza gestito direttamente da Andrea e questo mi tranquillizza. D’altra parte devo solo camminare, un passo alla volta. La teoria la so.

Nella pratica resto spiazzata da un’esperienza nuova. Seppur conosco la tecnica, non mi ero allenata abbastanza. Il vedere il mondo da un’altezza e posizione mai vista prima, considerando la mia personale appena sufficiente per superare l’ultimo dei sette nani di Biancaneve, mi ha completamente disorientata.

La mia mente ruba tutta l’attenzione e inizia si ad aver paura ma a volere a tutti i costi riuscire nell’impresa. Smette di ascoltare il corpo. Tral’altro entra in gioco anche il famoso slogan “non si molla mai” che in alcuni casi è deleterio perché portato in eccesso fa perdere lucidità. Ne parlo in questo articolo dal titolo Vince chi molla – L’arte di lasciare andare
Risultato?
Sono caduta tre volte. Non era il momento.

Ho sentito la frustrazione di non esserci riuscita. Una sensazione che non sentivo da molto tempo.
Lì per lì ovviamente ero dispiaciuta. L’atleta che era in me si sentiva sconfitta.
Superata questa prima fase poi però ho realizzato che nella vita a voler forzare le situazioni non si ottiene nulla. La teoria la conoscevo già ma solo quando la vivi grazie all’azione con il corpo, riesci a comprenderla nella sua interezza. Quindi no, non considero questo mio tentativo un fallimento.

Lo considero un modo diverso di allenarmi alla capacità di lasciare fluire persone, cose, situazioni con la serenità che tutto accade nell’unico momento che deve accadere.
Ne prima.
Ne dopo.

L’ESPERIENZA DEL CAVO

Se almeno una volta vuoi provare l’esperienza del cavo, Andrea tiene dei laboratori un paio di volte l’anno e il prossimo sarà a Giugno. Qui  trovi la locandina oppura visita il sito www.ilfunambolo.com

 

 

 

 

LIBRI CONSIGLIATI

Zen e funambolismo - Andrea Loreni - Libro Funambolo 2019, Sircus | Libraccio.it

 

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Aurora

(le immagini sono state fornite da Andrea Loreni e fanno parte del suo archivio personale. Ove  possibile sono stati inseriti i crediti. In caso di segnalazioni si prega di inviare una email a info@auroracoaching.it)

 

Aurora Puccio
About Aurora Puccio
Ciao! Sono Aurora la mia filosofia è invitare le persone a guardare le cose da angolazioni differenti, partendo dall'atteggiamento mentale con il quale si osserva una situazione. Lo sport è la mia più grande passione insieme ad altre forme artistiche come teatro e scrittura, che in questi articoli si intrecciano con armonia per darti degli spunti sull'allenamento mentale.
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