image A1 Passo da te – Occorre pensare in modo diverso image Castano – Il Team dell’eccellenza premio sportivo ai migliori atleti castanesi

Cecilia Maffei | La motivazione e la resilienza dell’atleta – INTERVISTA ESCLUSIVA

La motivazione e la resilienza dell’atleta

I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi vanno in guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere – Sun Tzu

Uno dei temi più controversi in ambito sportivo, oltre la capacità di concentrazione, è la motivazione.  La maggior parte degli addetti ai lavori sembra collegare la mancanza di risultati,  lo scarso impegno agli allenamenti dei propri atleti, o la totale assenza di grinta in partita, a un problema motivazionale.  A tal proposito mi sono fatta un’idea ben precisa collegando sia il mio vissuto sportivo, sia le diverse esperienze professionali, nonché costante osservatrice degli eventi sportivi più importanti  per una continua ricerca e studio sull’atteggiamento mentale. Senza voler per forza fare paragoni con atleti del passato, di certo quello che salta all’occhio, è un evidente cambio di mentalità  nella pratica sportiva a qualsiasi livello. Le frasi più comuni che circolano nei palazzetti, campi o piscine, sono del tipo:

“Ho perso la motivazione”“La squadra ha bisogno di motivazione”, “L’atleta non è motivato” ecc. ecc. 

E poi c’è lei: la resilienza. Ovvero la capacità di un individuo di  superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Entrambe, motivazione e resilienza, sono legate l’una all’altra: senza motivazione non è possibile fornire il carburante energetico giusto per allenare la propria resilienza.

Su questi argomenti c’è spesso tanta confusione per cui si ritiene opportuno ricondurre un problema di performance a una mancanza di motivazione ricercando la soluzione in una figura esterna. E qui avviene, a mio avviso, un’altra confusione tra la figura del motivatore e quella del mental coach sportivo: sono due figure completamente diverse che svolgono attività altrettanto differenti.

Per spiegarti la mia personale idea sulla motivazione, ti racconto la storia di una grande atleta azzurra dello Short Track: Cecilia Maffei argento ai Giochi Olimpici di Pyeongchang 2018 nella staffetta 3000m  insieme alle compagne di squadra Arianna Fontana, leggenda di questo sport, Lucia Peretti e Martina Valcepina.

Se non conosci questa disciplina ecco il video della finale olimpica con il giallo finale che ha lasciato tutti con il fiato sospeso. Potrai quindi renderti conto come “cadere” sia una probabilità elevata. Gli atleti convivono con questa possibilità. Basta veramente un attimo: una distrazione, essere sfiorati dal pattino dell’avversario, un pezzo di ghiaccio che si trasforma in un sassolino pericoloso. Altre volte si verificano tra i partecipanti anche scorrettezze cui i giudici sono chiamati a decidere seguendo e interpretando il regolamento. È una disciplina dove ci sono parecchie variabili fuori dal controllo dell’atleta. Immagina quindi quanta abilità occorre per restare calmi, tranquilli, concentrati, dando il massimo, rischiando sapendo che tutto può succedere.

Soprattutto accettare poi ciò che accade.

All’inizio di quest’anno quindi Cecilia ha finalmente realizzato il sogno di una medaglia olimpica. Descritta così sembra tutto sia andato liscio. Invece, per un banale incidente durante un allenamento di routine, l’azzurra  ha rischiato di guardare le Olimpiadi alla TV. Lo Short Track è un tipo di pattinaggio di velocità dove al minimo errore puoi cadere e buttare via anni di allenamento.  Cadere male e infortunarsi sono possibilità spesso sottovalutate.

Attraverso questa storia potrai imparare a:

  1. Scomporre un macro obiettivo in più obiettivi
  2. Procedere un passo alla volta
  3. Comprendere che la  motivazione parte da dentro di te. Nessuno può allenarsi al posto tuo
  4. Essere tu, il primo a crederci. Non possono farlo gli altri per te. Possono solo starti vicino.
  5. Come incide l’approccio mentale nel recupero da infortunio
  6. Considerare possibile ed efficace l’allenamento mentale a distanza in videochiamata
  7. Essere preparati e pronti mentalmente ai due scenari: si ci riesco, no non ci riesco.

Vedi quest’ultimo punto è fondamentale. È logico che uno si augura un lieto fine. Ma prepararsi alla possibilità di considerare uno scenario diverso, esserne soprattutto consapevole, permette di affrontare meglio e più velocemente il trauma scaturito da una possibile delusione.

Sei pronto/a? Cominciamo…

40 giorni in 15 giorni

È il 30 Dicembre 2017. Mancano circa 20 giorni alla data ufficiale per le convocazioni della squadra olimpica e Cecilia si trova a Courmayeur per gli allenamenti di routine quando, in un normalissimo giro di riscaldamento, come tanti altri, cade assieme ad un compagno di squadra, appoggia male il piede e si storta la caviglia. Sembra una caduta banale come tante altre. Invece non lo è. Cecilia si tocca la caviglia e si rende conto che qualcosa non va. 

Gli passa tutta la vita sportiva davanti.

Pyeongchang 2018 sarebbe stata la sua quarta Olimpiade. La prima fu Torino 2006, poi Vancouver 2010 e Soči 2014. Quelle disputate in casa e in Russia, furono le più amare. Nonostante l’Italia, nella staffetta 3000m, si classificò terza in entrambe le occasioni, Cecilia non ricevette la medaglia. Nelle gare a squadre, per poter salire sul podio, tutti i componenti devono aver gareggiato. Sarebbe bastata anche solo la semifinale e Cecilia, avrebbe ottenuto la medaglia. Una regola che può sembrare assurda e che priva tanti atleti di un meritato riconoscimento per i sacrifici fatti.

Per Cecilia quindi l’Olimpiade koreana assume un significato diverso: quello del riscatto. Il sogno di poter tenere fra le mani quella medaglia che le spetta di diritto. Invece, come in un film, tutto le passa davanti come un treno che prosegue la sua corsa saltando la sua fermata.

L’atleta racconta: «Quel giorno mi ricordo tutto. Appena caduta quando ho sentito male alla caviglia ho pensato “Ciao!! Olimpiadi finite!!” I miei compagni di squadra mi hanno aiutata a rialzarmi mentre Elena, una di loro, cercava di tranquillizzarmi. Lì per lì sembrava che il dolore diminuisse perché riuscivo a camminare. Pensavo e speravo fosse solamente una semplice storta. Mi portarono subito al Pronto Soccorso, feci l’RX che fortunatamente diede esito negativo, ma dissero che erano interessati i legamenti. Ancora non era tutto ben chiaro, dovevo fare altre visite. 

E adesso?

Grazie all’intervento di Arianna e di Claudia Venturini, tecnico radiologo dell’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport nel Centro di Preparazione Olimpica “Giulio Onesti, mi è stato permesso di ricevere le cure presso questo istituto dove ho incontrato, tra gli altri, il fisioterapista Maurizio Zaia che, con sincerità mi disse:”noi possiamo fare il 3%. Il restante 97% dipende solo da te”.»

L’esito della risonanza era molto preoccupante visto anche il poco tempo a disposizione per il recupero e le Olimpiadi alle porte: distrazione di III grado con lacerazione del legamento peroneo-astragalico e distrazione di medio-alto grado (II-III grado) anche dei legamenti peroneo-calcaneare, del fascio cervicale del legamento a siepe e dei fasci profondi del legamento deltoideo; più una serie di altre cose a conseguenza della distorsione.

Il recupero doveva essere fatto in 45 giorni e invece è stato fatto incredibilmente in 15 giorni…

Cosa ti è scattato in testa?

«Dopo tutti i sacrifici fatti non ero disposta a gettare la spugna ad un mese dalle Olimpiadi. Ho lavorato molto per esserci, per poter sperare in una medaglia. In quel momento, era più grande la paura di perdere  la possibilità di partire che tutto il resto. In più, i miei genitori avevano già prenotato, sarebbe stato avvilente dover disdire tutto e negare pure a loro questa magnifica esperienza.

Il primo passo ora era arrivare alle Olimpiadi. Vista la particolare situazione in cui mi trovavo,  volutamente non è stata divulgata la notizia e nemmeno i giornali ne hanno parlato molto per fare in modo che stessi tranquilla e restassi concentrata sul recupero. All’inizio, quando andavo a fare le terapie ammetto di essere stata un po’ in crisi ma, tutto quello che fisioterapisti e dottori mi suggerivano di fare, lo eseguivo con totale fiducia.” Inoltre, il pensiero che ce la potevo fare era costante e intenso nella mia testa.»

Cecilia scompone il macro obiettivo, andare alle Olimpiadi, in più obiettivi procedendo un passo alla volta. Inutile pensare alla medaglia se non hai  in mano il biglietto aereo per la Korea.  Prima di tutto era essenziale ritornare a mettere i pattini. Il passo successivo, sarebbe stato quello di recuperare gli allenamenti perduti ed essere in condizione di dimostrare all’allenatore di gareggiare, con i tempi richiesti per le atlete del suo livello. Tutto queste azioni erano totalmente sotto il suo controllo e sarebbero state le sue priorità. Poi le restava solo attendere la decisione dell’allenatore.

In quei 15 giorni di fisioterapia cosa ti dava la forza di credere nel tuo sogno olimpico?

«Come dicevo prima la forza l’ho trovata in quel pensiero fisso che mi accompagnava: “ce la posso fare”. Provavo solo sensazioni positive a riguardo. Tutte le persone, dottori e fisioterapisti che mi seguivano, riuscivano a trasmettermi la carica necessaria per affrontare ogni giornata nel modo giusto senza perdere nemmeno un secondo. Per questo non finirò mai di ringraziarli.

Il pomeriggio del 16 gennaio era la data ultima per tornare in pista a Courmayeur con la squadra. Il mio primo obiettivo è stato riuscire a mettere i pattini al più presto per presentarmi pronta. Pensavo solo a questo. Mi sono fatta portare i pattini a Roma, la prima prova che abbiamo fatto è stata un mezzo disastro. Il piede era gonfio e il dolore insopportabile. Dopo una serie di tentativi finalmente sono riuscita ad infilare il piede.

Una piccola vittoria.

La seconda prova che abbiamo fatto qualche giorno dopo è andata meglio. Sentivo di poter essere in grado di gestire il dolore anche se sicuramente non sarebbe stata una passeggiata. Il 14 Gennaio con Stefania, la fisioterapista designata per seguirmi, sono partita per Courmayeur. Ero pronta a ricominciare a pattinare e trovare eventuali soluzioni prima dell’arrivo di tutta la squadra.»

Come hai affrontato la situazione?

«Ero abbastanza tranquilla fino a quando non sono entrata in pista la prima volta. Il dolore era forte e con esso anche la tentazione di “mollare”. Fortunatamente Stefania sapeva sempre trasmettermi positività con piccoli gesti e parole accompagnati anche da Claudia, persona fondamentale in tutto il mio percorso.

Mi sforzavo di restare positiva anche quando tutto andava storto e ci riuscivo pensando e sognando le Olimpiadi.

Come si svolgeva la tua giornata tipo?

«Le mie giornate erano scandite. Al mattino un po’ di fisioterapia con anche esercizi di riscaldamento, allenamento sul ghiaccio e per finire la fisioterapia in piscina. Pausa pranzo e al pomeriggio si ricominciava con esercizi in palestra e quindi riscaldamento per poi tornare in pista e nuovamente in piscina. Dopo cena qualche esercizio con gli elastici. In base a come stavo e a quanto fossi stanca modificavamo con Stefania il programma.

Magari un allenamento sembrava andasse meglio e poi nell’altro le cose si capovolgevano. Non avevo più nessuna certezza, ma solo la forza di volontà e la voglia di arrivare. Durante la settimana l’allenatore mi seguiva con attenzione. Mi ha fatto iniziare con calma fino al giorno che mi ha detto:”oggi è il momento di provare la staffetta 3000m”. Non è stato facile lo ammetto, mi sentivo instabile e dolorante, ma ho resistito.»

Quando hai saputo della convocazione?

«Il 18 gennaio l’allenatore ha comunicato alla squadra i convocati per le Olimpiadi.  È stato un momento davvero intenso. Tutta la tensione e lo stress accumulato in quei giorni ha lasciato spazio ad una gioia immensa; non vedevo l’ora di farlo sapere alla mia famiglia e a tutti i fisioterapisti e dottori che a Roma mi hanno curata e rimessa in piedi. Ci siamo riusciti… si parte!!!»

Raggiunto il tuo obiettivo principale, come hai proseguito?

«Una volta realizzato il sogno olimpico, il quarto della mia carriera, non restava che allenarsi e recuperare completamente la forma fisica. L’obbiettivo successivo era:”voglio entrare in quella pista, dare il massimo per la squadra e dimostrare che merito di esserci”.

Per fare questo ogni allenamento era fondamentale. Curavo ogni singolo dettaglio. Facevo esercizi per il recupero della caviglia, entravo in pista e davo il massimo. Il dolore alla caviglia non doveva impedirmi di lavorare, non potevo permettermi di saltare nemmeno una prova. Anzi, nemmeno un singolo giro.

Poi, Claudia, per una serie di coincidenze, mi ha messo in contatto con te… per avere un ulteriore supporto  con l’intento di non lasciare nulla caso.»

La preparazione mentale

Tu eri già in Korea, a poche settimane dall’inizio delle Olimpiadi, per cui abbiamo svolto il tutto in  emergenza e in videochiamata. Cosa hai trovato utile nella nostra collaborazione?

«Ho trovato tranquillità perché sapevo di poter contare sul tuo aiuto. Ho avuto modo di vedere le cose che stavano accadendo da un punto di vista diverso a cui non avrei mai pensato. Gli spunti che mi hai dato per gestire meglio il dolore alla caviglia e per bilanciare la concentrazione durante la gara, sono diventati molto utili. Mettere a punto la routine pre-gara e pre-allenamento, di cui non ero tanto consapevole, è stato importante.

Mentre prima eseguivo le cose senza metterci la giusta attenzione, seguendo i tuoi consigli notavo le differenze di rendimento durante l’allenamento. Rendimento inteso soprattutto come sopportazione del dolore e concentrazione su quello che stava accadendo in quel preciso momento.

L’approccio alla situazione, visto i miei trascorsi olimpici, era importante e con te è stato più facile. Temevo ancora una volta di ripetere la storia. Essere lì e poi non gareggiare. La scelta dipendeva dall’allenatore.  Ma tutto il resto, allenamenti, serietà, impegno, dipendevano solo da me. Ad esempio, desideravo fortemente vincere una medaglia ma, non mi ero preparata all’eventualità che potesse anche non accadere. Di certo avrei lottato fino alla fine per il primo scenario ma essere consapevole e pronta mentalmente anche alla seconda possibilità, mi faceva stare serena. In fondo era stato già un miracolo arrivare a disputare una quarta olimpiade con un infortunio così grave recuperato in poco tempo.

Anche in questo caso ho affrontato il tutto un passo alla volta. Per prima cosa era importante pensare a correre nella staffetta. Poi a dare il meglio con le mie compagne per vincerla. Alla fine abbiamo rischiato anche l’Oro. Ma va bene così.»

Quando hai realizzato di aver vinto?

«C’è stata una lunga attesa prima dell’ufficializzazione.  Minuti interminabili. Siamo rimasti con gli occhi puntati sullo schermo, attimi di paura perché le decisioni dei giudici sono sempre imprevedibili e poi…argento!! Ci siamo riuscite, ci sono riuscita…sono entrata nella storia!

Ero contenta ma non ho realizzato subito di aver vinto finalmente una medaglia olimpica. Quando sei lì tutto diventa così surreale che ti senti fuori dal mondo. Arianna, il nostro capitano e portabandiera dell’Italia Team,  mi è venuta subito ad abbracciare, seguita anche dalle altre mie compagne di squadra e poi dagli allenatori. Non capivo più niente. Era come se la medaglia, intesa come oggetto, avesse perso il suo potere su di me. Era come se avessi fatto pace con la mia storia. Come se avessi chiuso un cerchio.

Poi c’è stata la cerimonia di premiazione ufficiale, emozionante e bellissima.

ecco ci siamo…sul podio e poi la medaglia al collo.

Momenti indimenticabili come l’alza bandiera: mi sono venuti  i brividi e le lacrime agli occhi.

I miei genitori dissero che ho sorriso tutto il tempo, non mi avevano mai vista così felice. Quella notte oltre a dormire poco ho tenuto la medaglia con me sotto al cuscino.»

Cosa ti ha insegnato questo evento e cosa ti senti di consigliare ai giovani atleti cui succede un infortunio alla vigilia di una competizione importante…

«La forza di volontà conta più di tutto. Se uno vuole raggiungere ciò che desidera niente lo può fermare, si dovranno superare molte difficoltà ma nulla di impossibile: testa alta e lottate.

Ricordo ancora il giorno in cui ho confidato a mia nonna il mio sogno nel cassetto. Lei stava frequentando la scuola per la terza età e doveva compilare delle schede dove c’erano alcune domande. Fra questa una diceva:

qual è il tuo sogno nel cassetto?

La nonna non capiva. Diceva che non aveva sogni e io per incoraggiarle le confidai il mio e le dissi: Nonna io ce l’ho.

Il mio sogno nel cassetto è andare alle Olimpiadi.

Epilogo

Per quanto riguarda la resilienza non entro nel dettaglio perché la storia dimostra ampiamente la competenza dell’atleta. Mi soffermo invece sulla motivazione: o ce l’hai dentro o non ti può essere trasmessa telepaticamente dall’esterno. È una cosa tua, che nasce da un profondo desiderio interiore. E quando non c’è semplicemente quella cosa non ti interessa. La fai magari perché non riesci a dire di no a un desiderio non tuo ma di qualcun’altro. Oppure sei pagato per giocare.
Diverso invece, come nel caso di Cecilia, quando la motivazione è forte e ti appartiene. Può succedere che durante il cammino perda energia. È naturale. E in questo caso ti servono strumenti pratici per essere in grado da solo di ricrearti quell’energia utile ad  alimentare la tua motivazione.

La fortuna di Cecilia è stata trovare professionisti, dottori , fisioterapisti, staff tecnico, che non si sono limitati alla loro funzione. Ma sono state bravi ad andare oltre inserendo l’aspetto umano attraverso parole di incoraggiamento., la pazienza di attendere il recupero e così via. Sono stati dei veri e propri motivatori, insieme alla famiglia e agli amici più stretti.

Se invece parliamo del campo gara, in generale, prendendo spunto dai recenti mondiali di pallavolo maschile, leggi qui il mio articolo perdere per colpa della testa, il ruolo più immediato che può svolgere la funzione del motivatore è l’allenatore tecnico perché più di tutti dovrebbe conoscere i suoi atleti. Deve avere l’abilità e la freddezza di andare oltre ai consigli tecnici e trovare velocemente una chiave per sbloccarli

Il lavoro svolto invece con il mental coach, in questo caso con me, è  basata sulla preparazione mentale: concentrazione, costruzione routine pre-gara e pre-allenamento, cura dei dettagli per la gestione del dolore, percorso di consapevolezza sulla possibilità di vincere la medaglia o perderla. Anche in questo caso, ovviamente inserendo l’aspetto umano per me fondamentale, l’attività svolta fornendo all’atleta strumenti pratici ha creato un’altra fonte di energia di cui la sua motivazione poteva nutrirsi. Ma lei, la motivazione, era sempre lì: dentro Cecilia.

In sostanza tutti i fattori esterni, come persone, eventi, voglia di riscatto o ingiustizie subite, fanno da contorno a alla motivazione principale.

Quindi una performance sportiva, in questo caso con l’aggiunta di un recupero da infortunio, è data da un insieme di elementi che partono tutti dalla motivazione dell’atleta per abbracciare: la preparazione fisica, quella mentale, il recupero tecnico, la fisioterapia, i medici e così via.

Ma il merito più grande appartiene assolutamente all’azzurra Cecilia Maffei. Se non fosse stata per la sua grande motivazione e resilienza, non avrebbe colorato d’argento il suo sogno olimpico, tutto il resto sono strumenti utili per raggiungere gli obiettivi.

In conclusione la motivazione è il motore della performance sportiva. Che si tratti di uno sport individuale o di squadra, prima di stabilire gli obiettivi stagionali o ingaggiare un atleta  basandosi solo sull’aspetto tecnico, occorre, dal mio punto di vista, integrare queste informazioni con un colloquio motivazionale, aspetto tante volte sottovalutato. Persino il giocatore più forte al mondo senza motivazione non è capace di vincere. Semplicemente perché non ha nessuno interesse per dare tutto se stesso alla causa. Questo accade perché è stato trascurato un particolare importante: l’atleta, ancor prima di esserlo, è prima di tutto…una persona. E se non vi occupate di lui come tale…prima o poi l’atleta scoppia perché è scoppiata la persona.

A tal proposito ti invito a leggere l’articolo sul campione olimpico Nicolò Campriani: Cosa fa di un atleta un uomo felice?

Colgo l’occasione per ringraziare Cecilia per un’esperienza davvero unica. Seguo le Olimpiadi dal 1984 sbracciandomi e tifando gli azzurri in gara come se fossi lì con loro. Mi piace sentire quella tensione, l’attesa del punto finale. Stavolta però è stato leggermente diverso…

Ringrazio di cuore Anna e Claudia che hanno creduto in me fin dal primo momento. Senza la loro fiducia non avrei potuto realizzare questo sogno inaspettato.

Ti invito a condividere l’articolo potrai così aiutare tanti atleti a fare chiarezza sulla motivazione.

Grazie

Aurora

(Foto private Cecilia Maffei. Altre foto google immagini. Video Yoyutube canale ufficiale Eurosport)

 

 

 

Aurora Puccio
About Aurora Puccio
Ciao! Sono Aurora la mia filosofia è invitare le persone a guardare le cose da angolazioni differenti, partendo dall'atteggiamento mentale con il quale si osserva una situazione. Lo sport è la mia più grande passione insieme ad altre forme artistiche come teatro e scrittura, che in questi articoli si intrecciano con armonia per darti degli spunti sull'allenamento mentale.
Related Posts
  • All
  • By Author
  • By Category
  • By Tag

Leave a Reply

Your email address will not be published.