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Danilo Goffi-“Cosa mi ha insegnato la delusione”

Cosa mi ha insegnato la delusione
Le grandi aspettative sono il preludio delle grandi delusioni.
Cecilia Dart-Thornton –  scrittrice

Ogni volta che commettiamo errori,  subiamo delusioni o veniamo sconfitti è normale vivere tali emozioni con uno stato mentale iniziale negativo. È il rovescio della medaglia. Senza non potremmo apprezzare i loro opposti. Soltanto che non siamo allenati mentalmente a soffermarci per il tempo necessario a cogliere i messaggi che tali esperienze portano con sé. Messaggi che vanno poi compresi, rielaborati e trasformati in nuova energia per migliorarsi come persona e anche come atleta.

E poi viene la parte più difficile: lasciare andare via queste esperienze ringraziandole per averci insegnato a osservare le cose da un altro punto di vista, guardando con fiducia in avanti.

La storia che sto per raccontarti del maratoneta Danilo Goffi, mi permette di andare oltre i numerosi titoli vinti in una carriera lunga 25 anni, per soffermarmi su un aspetto  che lo ha segnato particolarmente. Sono sicura può esserti di aiuto perché prima o poi tutti dobbiamo fare i conti con lei: la delusione.

Ma partiamo dal principio. Danilo fin da giovane dimostra la sua qualità nella corsa di fondo. Già nella categoria Juniores si fa notare vincendo il titolo europeo sui 10000 metri, per poi specializzarsi nella mezza maratona e nella maratona. Vince numerosi titoli italiani, partecipa a diverse edizioni iridate fino a raggiungere il massimo della sua carriera partecipando ai Giochi Olimpici di Atlanta 1996 classificandosi al nono posto.

Ed è proprio da qui che cominceremo la storia.

L’Olimpiade

Danilo come hai vissuto questa tua prima Olimpiade, il sogno di ogni atleta. Ancor di più per chi pratica la tua specialità e come hai affrontato la gara dal punto di vista mentale

«Ho vissuto questa Olimpiade con serenità e tranquillità. Ero consapevole che arrivarci era già un successo. Non tutti ci riescono. A quel punto a livello mentale mi sono preparato a vivere la gara esattamente come se fosse una gara qualunque. Senza dargli peso. Nel senso: sapevo benissimo che ero ai Giochi Olimpici, ma pensarci mi avrebbe fatto crescere l’ansia inutilmente. Questo approccio mi ha permesso ti restare con il gruppo dei più forti senza paura o timori reverenziali, fino ai 30 Km. Poi non sono più riuscito a tenere il passo. E mi sono classificato nono. Ho dato il massimo che potevo.»

Dopo questa esperienza olimpica cos’ è successo?

«È successo che ai mondiali di Siviglia del’99 anziché utilizzare la stessa strategia mentale, restando tranquillo e facendo finta che fosse una gara qualsiasi, nel finale mi sono bloccato mentalmente. Mi sono classificato quinto ma potevo salire sul podio. Non so cosa mi sia successo. Ancora oggi non te lo saprei spiegare. Non ne sono consapevole. So soltanto che ero profondamente deluso di me stesso e della mia prestazione. Così, per colmare questa delusione, presi la decisione di partecipare alla maratona di New York pensando che mi avrebbe ridato fiducia. Invece peggiorai le cose prendendo un’altra delusione.»

Cosa insegna la delusione

Col senno di poi cosa ti ha insegnato questa esperienza e cosa ti sentiresti di consigliare ai più giovani che oggi sembra quasi vogliano sfuggire alle delusioni. Fanno fatica ad accettarle.

«Mi ha insegnato tanto. Ho capito che dopo una delusione, ma vale anche per una vittoria, non sono gli stati mentali ideali per prendere qualsiasi tipo di decisione a caldo. Occorre il più possibile prendersi il tempo giusto per smaltire l’emozione. Rifletterci sopra per un po’. Se lo avessi fatto, di certo non sarei andato a New York. Avrei capito che non era il momento giusto. Che prima avrei dovuto mettere pace alla delusione di Siviglia.»

Cos’altro ti senti di consigliare?

«Che lo sport è sacrificio, occorre praticarlo prima di tutto con passione senza pensare a possibili guadagni facili che potrebbero arrivare . Anche perché poi soprattutto nelle discipline minori è anche quasi impossibile. Dipende dai casi.

Tralaltro, proprio perché ci tieni ai valori sportivi, hai scelto di essere testimonial di un’associazione importante a carattere internazionale che si chiama Panathlon Club La Malpensa

Si è un’associazione riconosciuta dal CIO e dal Coni che si occupa di divulgare il Fair Play collaborando con le scuole e altre associazioni per promuovere la cultura sportiva. Penso che sia una necessità.»

Il nuovo ruolo

Oggi sei diventato un allenatore sia di atleti amatoriali sia a livello agonistico. Ho scoperto che anche tuo figlio sta seguendo le tue orme. Ti chiedo se lo alleni tu e se in generale, in questo tuo nuovo ruolo hai un sogno da realizzare.

«Ho scelto di non allenare mio figlio il giorno in cui ho capito che in questo momento non ero la persona giusta per lui, e per la sua crescita sportiva. L’ho scoperto grazie alla sua altra passione: il calcio. Quando vado a vedere le sue partite mi trasformo. Mi rendo conto di essere un genitore-tifoso troppo presente che sugli spalti magari da suggerimenti. No, non mi sento ancora pronto per poter gestire mio figlio-atleta con una relazione padre-figlio che di certo se non sana influisce sulla performance. Non escludo che possa succedere in futuro. Ma per il suo bene ho scelto di affidarlo ad altri allenatori cercando di intromettermi il meno possibile. Non è facile ma so che devo farlo per lui.

Per quanto riguarda il sogno invece, resta sempre l’Olimpiade anche da allenatore. Spero un giorno di allenare atleti di alto livello e aiutarli in questa esperienza unica e meravigliosa.»

Danilo ha scelto quindi di fare un passo indietro, mettendosi da parte per dare al figlio la possibilità di crearsi una sua identità sportiva.  Non è da tutti. Ci sono campioni che hanno la fortuna di essere allenati da genitori consapevoli ottenendo anche risultati importanti. Ad esempio come il nuovo primatista italiano sui 100 metri Filippo Tortu, il primo a scendere sotto i 10 secondi, 9″99 per l’esattezza, superando il mito Pietro Mennea. è allenato dal padre. Ma ci sono altri casi, in diverse discipline, dove questo connubio non ha funzionato.

Conclusione

La storia di Danilo mi permette di mettere in risalto appunto la delusione. Ti faccio una domanda:

Qual è stata la più recente? Hai quantificato il tempo che hai impiegato per smaltirla rimuginando l’evento scatenante per giornate intere dove avresti potuto svolgere altre attività?

Pensaci… e poi scrivilo. Se ti arriva una risposta di qualche giorno va già bene. Ma se si comincia a parlare di settimane, mesi che poi diventano anni, allora dovresti chiederti: ma ne vale la pena?

Mi auguro che tu non abbia più delusioni di ogni tipo, ma per evitarle la cosa più importante è porsi in un atteggiamento mentale con zero aspettative. Se non ti aspetti nulla non potrai restare quasi mai deluso. Se invece sei caduto nella trappola della delusione, usala per migliorarti. Riflettici sulle cause, su cosa avresti potuto fare e non hai fatto, e perché hai questo stato d’animo.

La cosa importante è darti un tempo ben definito oltre il quale smetti di darle importanza. Più riuscirai in questo intento, meno tempo impiegherai a trasformare un’esperienza negativa in una nuova energia, più tempo avrai per te.

E i tuoi neuroni… ti diranno grazie 🙂

Questo… è un allenamento mentale:-) come tale ti costerà fatica all’inizio. Ma se sei disciplinato e lo pratichi con costanza, ti accorgerai di come man mano ridurrai il tempo dedicato. Ovviamente dipende dal grado di delusione…

Buon allenamento!!

Aurora

Ringrazio di cuore Danilo per la sua disponibilità e per le fotografie!!

 

 

Aurora Puccio
About Aurora Puccio
Ciao! Sono Aurora la mia filosofia è invitare le persone a guardare le cose da angolazioni differenti, partendo dall'atteggiamento mentale con il quale si osserva una situazione. Lo sport è la mia più grande passione insieme ad altre forme artistiche come teatro e scrittura, che in questi articoli si intrecciano con armonia per darti degli spunti sull'allenamento mentale.
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