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LETIZIA PARUSCIO – LA VITTORIA INVISIBILE DEL GIOCO INTERIORE

LETIZIA PARUSCIO – LA VITTORIA INVISIBILE DEL GIOCO INTERIORE

Quando l’atleta batte l’avversario segreto

 di Aurora Puccio
Ogni atleta affronta due partite: una esterna visibile e un’altra interna contro se stesso
Athýke

La vittoria invisibile del gioco interiore. La vittoria a cui ogni atleta dovrebbe aspirare. Senza si è perduti. Con qualche medaglia si ha l’illusione di mettere a tacere quel gioco; gioia e dolore di ogni prestazione.  Non si può tenere in silenzio qualcosa che è dentro di noi. Che ci accompagna in ogni singolo allenamento, in ogni singolo movimento, in ogni singola gara.

In ogni istante della nostra giornata, lui è sempre lì. Vorrebbe anche essere di aiuto. Solo che senza  un allenamento all’ ascolto e alla comprensione, diventa un sabotatore seriale che lascia serenità e tranquillità fuori dal gioco.

Eppure entrambe sono indispensabili per portare un atleta a tendere verso la vittoria finale.

IL GIOCO INTERIORE E I SUOI SEGNALI

Poiché è sempre trascurato, il gioco interiore conosce solo ciò di cui è nutrito: dubbi, incertezze, ansie di dover sempre dimostrare qualcosa all’esterno. Paura del giudizio altrui. Paura del fallimento. Paura di essere etichettato e giudicato solo per i risultati ottenuti.

Un giorno vinci e sei qualcuno. Il giorno dopo perdi e già si sono dimenticati di te. Ti voltano le spalle perché è facile salire sul carro dei vincitori. Il difficile è restarci nei momenti difficili.

È così che la società di oggi ha creato una generazione pigra, frustrata che associa la vittoria con la notorietà, con i soldi, con il prestigio. Con l’apparire piuttosto che con l’essere.

Confonde l’essere vincente identificando se stesso
solo con i risultati e di se stesso non conosce nulla.

Si può  sempre scegliere di ignorare il gioco interiore. Tanto un giorno sarà lui a bussare alla porta, con una sconfitta, con una serie di eventi che ti costringerà a considerarlo.

IL BLOCCO DELL'ULTIMO COLPO - Nicolò Campriani tiro a segnoPer quanti titoli tu possa avere  in bacheca o essere un super talento nel tuo sport, dentro di te esiste un gioco che vuole essere ascoltato e allenato. Nessuna medaglia può colmare questo suo desiderio. Come accaduto all’olimpionico di tiro a segno Niccolò Campriani che pur vincendo non era un atleta felice.  Ne parlo in questa audio-storia  il blocco dell’ultimo colpo.

E se si vuole tendere alla vittoria entrambi i giochi, esteriore e interiore, devono saper convivere e integrarsi per portare l’atleta con serenità al compimento del proprio destino:

c’è chi vincerà un’Olimpiade, chi no. Chi arriverà a qualificarsi e chi invece resterà davanti alla TV ad applaudire gli altri. C’è chi viene considerato un talento e non vince nulla o poco, e chi invece ha vinto tutto, senza essere considerato un talento.

La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai cosa ci trovi dentro 🙂 (cit. film Forrest Gump)

CASE HISTORY: LETIZIA PARUSCIO NUOTO 

Per spiegarti questo concetto dell’allenamento del gioco interiore, condivido con te un case history di un percorso di sport mental coaching con l’atleta Letizia Paruscio, nuotatrice del Circolo Aniene di Roma e del gruppo sportivo dell’Esercito; la sua specialità sono i 200m dorso.

Gioco Interiore Letizia Paruscio sport mental coach Aurora PuccioQuando Letizia mi contatta, ha da poco concluso le Universiadi a Napoli con una prestazione non soddisfacente che le ha fatto scattare quel click definitivo nel chiedere supporto. Un’esigenza nata in realtà molto tempo prima e che per materializzarsi, ha dovuto attendere un evento scatenante; di quelli che ti fanno dire: “Adesso basta. Così non si può più andare avanti”. Di certo anche tu che leggi avrai pronunciato questa frase almeno una volta nella vita.

Nella storia che sto per raccontarti troverai una cronologia di eventi che comprende la fascia di età tra i 9 anni e i 23, età attuale di Letizia. Ti offro un viaggio privilegiato all’interno del suo gioco interiore specchio di quello che accade a tutti gli atleti in ogni disciplina e che pochi hanno il coraggio di affrontare anestetizzando il dolore con qualche medaglia.

Vincere riescono tutti. Il difficile è replicarsi e vivere l’ambizione di arrivare in alto senza ossessione, centrati con la serenità di allenarsi per ricercare la miglior versione di se stessi includendo in tutto questo anche il gioco interiore.

Riconoscendo e rispettando i propri limiti, vivendo la carriera con il giusto equilibrio tra vita sportiva e vita reale perché sono due mondi completamente diversi e un giorno, prima o poi, quella sportiva terminerà e bisogna essere pronti.

Prima di iniziare questo racconto con all’interno l’intervista all’atleta, ti avviso che si tratta come sempre di un allenamento anche per te. Nel corso della lettura se senti qualcosa che ti da fastidio o che ti risuona famigliare, si tratta di un campanello che il tuo gioco interiore ti sta segnalando. Non tralasciarlo.

Se ti riconosci in questa storia troverai conforto che non sei solo. Tutti gli atleti, e dico tutti compresi olimpionici e leggende sportive, convivono con il proprio gioco interiore. La differenza sta nel come trattarlo. Cosa farne delle sue richieste che, grazie allo sport, saltano fuori più che in qualsiasi altra area. Se ancora non hai avuto un’esperienza di questo tipo, hai il grosso vantaggio di  vedere in anteprima gli errori commessi e prepararti a evitarli.

Cosa ci guadagni? Il tempo. Il tempo tradotto in mesi o anni che la maggior parte degli atleti perdono nel rifiutare di affrontare senza paura il proprio gioco interiore. Di andare alla scoperta di un potenziale inespresso, grande alleato dei loro futuri risultati.

Per questo allenamento ti consiglio di prepararti partendo da un atteggiamento mentale propositivo, curioso, senza giudizio e con l’enorme vantaggio di poter trarre degli spunti su cui riflettere.  Pertanto caro il mio lettore oggi ti parlo di un’altra tipologia di campioni.

Quelli che hanno risultati invisibili a molti,  la cui carriera scorre su un filo diverso di consapevolezza dove i limiti sono stati accettati e valorizzati in nuovi obiettivi a cui tendere. Tutti vogliono andare alle Olimpiadi. Tutti vogliono vincerle. Ma non tutti ci arrivano e non tutti salgono sul podio.

E allora quello che fa la differenza è il modo con cui ti godrai questo viaggio: o terrorizzato dall’ansia da prestazione, dalla pressione dei risultati, deluso per averli mancati; oppure essere in grado di gestire il tutto con la giusta serenità ed essere uno sportivo felice di tendere comunque a un traguardo alto che in ogni caso ti porterà a un risultato.

Buon allenamento ci vediamo…alla fine con l’epilogo 🙂

p.s. si lo so i miei articoli sono lunghi… così ti prendi del tempo per te stesso, per il tuo gioco interiore e alleni, come sempre, anche la durata della concentrazione…Foto Faccina Sorridente, Immagini E VettorialiIl Tascalibro: Faccia a faccia con Mr Emoticon

IL PRIMO INCONTRO

Sorseggio la mia crema di caffè con lentezza mentre le parole di Letizia sembrano auto senza controllo al gran premio di Monza. Veloci si superano a vicenda desiderose di essere chiare e precise. Soprattutto comprese. Il suo caffè macchiato, dopo essere stato addolcito, segue il ritmo delle sue parole. Gira su stesso in un vortice e vorrebbe conoscerne la fine per essere gustato con calma nella sua essenzialità.

La stazione di Porta Genova a Milano ci fa da cornice con i suoi classici rumori di un venerdì mattina, dove il traffico delle auto stavolta reali, e pervaso da clacson impazienti di mostrare il loro disappunto. Mentre sui marciapiedi, la frenesia delle persone a testa bassa  ipnotizzate dagli smartphone, tutti i giorni corrono come gli ultra-maratoneti, verso cosa non si sa. Tutta questa caotica orchestra di suoni e rumori, sembra scomparire alla nostra vista e al nostro udito; tanto siamo centrate su di noi.

Letizia ha bisogno  di essere ascoltata e capita nella sua voglia di risolvere il problema come lei stessa lo ha definito la prima volta che mi ha scritto questa e-mail: “Ho sempre avuto difficoltà a gestire l’ansia nelle gare importanti e vorrei provare a risolvere questo problema.” 

Mi spiega come l’esperienza delle Universiadi le abbia dato la spinta definitiva per trovare il coraggio di chiedere supporto.

Ascolto con attenzione la sua storia. Per certi versi uguale a tantissimi atleti quando a un certo punto si rendono conto di aver perso contatto con il proprio gesto tecnico. Non si riconoscono più. Una volta erano felici e si divertivano. Poi  un giorno tutto cambia.

O forse è meglio dire che già da tempo il gioco interiore mandava segnali di avviso rimasti inascoltati. Segnali sommersi da quantità di allenamenti tecnici improduttivi sperando che potessero colmarne il vuoto. Col tempo sono cresciuti fino ad arrivare al punto critico di non ritorno, se non si agisce per rompere uno schema inefficace.

Gesti che prima erano eseguiti con naturalezza all’improvviso diventano impossibili. Bloccati nel vortice del proprio  gioco interiore che,  come il caffè, cercano solo di ritornare alla sua essenzialità e partecipare nel modo giusto alla prestazione sportiva integrato con il gioco esterno: il gesto tecnico.

Negli occhi di Letizia, più che nelle parole, leggo il desiderio forte di ritornare ad essere felice di nuotare e di esplorare i suoi limiti. Di vivere la disciplina che ama con serenità e tranquillità dando il massimo, senza il peso di quell’ansia e l’angoscia che le vengono a far visita tutte le volte ai blocchi di  partenza.

«Se sei disposta a metterti in gioco, e a impegnarti», le dico con un tono rassicurante, «riuscirai a raggiungere ciò che desideri. Su una cosa però vorrei essere chiara» continuo cambiando decisa tonalità alle mie parole per essere sicura che l’atleta si assuma la sua parte di responsabilità nel percorso, «non ho la bacchetta magica. Se ti allenerai con disciplina e costanza, allora è probabile che tu e il tuo gioco interiore ritroverete la pace. Man mano che andrai avanti ti alzerò l’asticella perché un conto è allenarsi in uno stato di emergenza. Tutt’altra musica suona nel momento in cui raggiungi l‘equilibrio. Lì inizierà una nuova storia.»

Letizia tira un sospiro di sollievo e con un sorriso mi risponde: «Certo! Sono d’accordo. Sarà fatto»

L’INIZO DELLA STORIA SPORTIVA: FASCIA D’ETÀ 02-09 ANNI

Hai scelto il nuoto perché?

Gioco Interiore sport mental coach« In realtà il primo sport che mi sarebbe piaciuto praticare a livello agonistico, se non avessi fatto nuoto, è lo sci. Ho imparato da piccola ed ero piuttosto brava. Purtroppo per problemi logistici non ho potuto praticarlo.  Così per due anni ho fatto ginnastica ritmica. Uno sport che ho amato tanto e che fin dall’esecuzione del primo ponte quando sono andata giù con la testa, avrei dovuto capire che non ero per niente adatta. L’elasticità del mio corpo era pari a un tronco di legno. (ridiamo)

Invece l’ho praticata per due anni ed è stata importante perché mi ha permesso di sviluppare tutti gli schemi motori di base utili per il dopo. Resami conto che nastro e palla non facevano per me invogliata da una mia amica ho provato prima tre mesi di judo e poi tre mesi di danza di coppia. Anche qui ho capito che non faceva per me. Avevo problemi ad approcciarmi al mondo maschile e litigavo spesso con il bambino con cui danzavo trattandolo in malo modo e questo bambino giustamente poi si è travato un’altra ballerina.

Poi a un campo estivo per due anni ho imparato a giocare a tennis con mio padre,  uno sport che di certo riprenderò quando concluderò la carriera in piscina per mantenermi in forma.

In tutto questo girovagare tra  i vari sport solo uno era fisso: il corso di nuoto al sabato. A un certo punto mi hanno chiesto di passare all’agonismo. Visto che con gli altri sport era ormai chiaro non poter arrivare a niente, accettai».

Quindi dopo aver provato tanti sport ti sei fatta un’idea delle tue capacità e nonostante per alcuni provavi una certa passione, non ti sei fissata. Hai accettato i tuoi limiti scegliendo quindi il nuoto agonistico. Com’è stato l’inizio dell’attività?

«Si infatti resami conto che per queste discipline non ero portata sono andata avanti poi nel nuoto. All’inizio devo dire è stato un trauma dal punto di vista logistico e degli allenamenti perché andavo tre volte a settimana. In più non mi piaceva tanto l’approccio dell’allenatrice che mi trattava come fossi un’incapace. Continuava a dirmi di guardare gli altri che erano più bravi di me.

Ero ancora una ragazzina di 9 anni e avevo iniziato da poco l’agonismo quindi era normale che tutti gli altri mi doppiassero. Dal mio punto di vista non era normale però che un’allenatrice trattasse una ragazzina in quel modo. Anziché incoraggiarmi nella ricerca di migliorare me stessa,  mi faceva sentire inadeguata.

Ero arrivata al punto di odiare il nuoto».

FASCIA ETÀ 9-14 ANNI

«Passato un anno sono andata in un’altra categoria con un’altra allenatrice il cui atteggiamento era completamente l’opposto. Mi spronava a dare sempre di più e sentivo che aveva fiducia in me. Così, poco alla volta, ho iniziato a migliorare.

Inoltre, cosa fondamentale, il tutto era ancora sotto forma di un gioco.  Oggi ci sono allenatori che prendono i ragazzini a 11 anni e già li spremono per farli andar forte. Questo è il modo migliore per far passare a un bambino la voglia di gareggiare. E ovvio che poi più avanti negli anni quando ti sei completamente appassionato le cose diventano molto più serie. A quell’età la componente ludica, pur iniziando a fare gare, deve restare.

Dopo questa esperienza positiva per quattro anni vengo allenata da Marco e anche qui la componente ludica in giusta quantità rimane. Per farti un esempio un mese prima dei campionati assoluti, che per noi era la gara più importante dell’anno, ci concedeva una sola giornata libera per andare a Gardaland. Quindi in questa fascia pur allenandomi nella giusta quantità in base alla mia categoria la componente divertimento è stata sempre presente».

FASCIA ETÀ 15 ANNI AD OGGI

«Quando Marco ha smesso di allenare a 15 anni sono passata a Busto Arsizio (MI) con il tecnico federale Gianni Leone e sono entrata in un gruppo dove, pur suddivisi per età ed io ero tra le giovani, c’erano già atleti di un certo livello: uno di loro aveva già partecipato a un’Olimpiade. Qui le cose iniziano a cambiare ovviamente. Pur restando una parte di gioco,  le cose si fanno più serie. Era un approccio “professionistico”, passami il termine, ma per ragazzi. In piscina Gianni ha sempre voluto il 110% perché iniziavi a porti degli obiettivi.

La componente divertimento con le amiche era presente, ma stavolta, rispetto al passato, restava fuori dall’allenamento. Di conseguenza più andavi avanti e più iniziavi ad avere obiettivi sfidanti. Il passaggio è stato graduale e trovo che 15 anni sia l’età giusta per iniziare a fare le cose sul serio».

A un certo livello quindi il divertimento deve scomparire?

gioco interiore«Assolutamente no. Io ho sempre avuto bisogno che il divertimento fosse incluso anche nell’allenamento.  Però esiste una differenza importante. Quando ero piccola, tra i 9 e i 10 anni, cantavo le canzoncine mentre ero negli spogliatoi anziché essere in vasca a fare riscaldamento e facevo un’ora di nuoto piuttosto che due.

Nei quattro anni  successivi, con gradualità e naturalezza, questo approccio si è trasformato. Le canzoncine negli spogliatoi sono sparite. In vasca c’erano dei momenti lasciati allo scherzo, oppure ci fermavamo  ma gli allenamenti iniziavano a essere più impegnativi. Con Gianni tutto questo non accadeva più. Il divertimento legato ad esempio alle chiacchere con le amiche, restava fuori dalla piscina per lasciare spazio a un altro tipo di divertimento legato alla voglia di raggiungere i propri obiettivi. Quindi semplicemente ho spostato tutte le varie fasi collocandole nel tempo più appropriato».

Riepilogando il divertimento  in una pratica sportiva dai 15 anni in su cos’è?

«Passare due o più ore facendo quello che ti piace e allo stesso tempo impegnandoti al 110% di te senza perdere tempo in altre cose.  Non è che vai lì per giocare. Se non vai a fare altro.

Il divertimento assume un’altra dimensione. Quando gli allenamenti sono faticosi, è vero che sono distrutta, ma esco dalla vasca soddisfatta perché mi sono divertita. Se non c’è soddisfazione non si può essere felici. Ecco perché nel mio caso ho bisogno che la componente del divertimento sia presente anche in gara perché se inizia a diventare un lavoro e un obbligo diventa tutto ingestibile. Non mi godo il momento e quindi non riesco a performare.

La chiave di tutto questo è che di fondo deve restare una cosa che ti piace fare. Se diventa un peso e si vive tutto con ansia e angoscia il divertimento scompare e con esso anche il gesto tecnico».

L’ANNO DELLA MATURITÀ SCOLASTICA

Com’è proseguito poi il tuo percorso?

«Quando frequentavo l’ultimo anno della maturità, ho preso una decisione dovuta al fatto di aver notato come l’impegno del nuoto, che mi dava tantissimo, allo stesso tempo mi toglieva alcune esperienze liceali tipiche della mia età altrettanto importanti: il vivere come una ragazza normale. Pertanto ho ragionato in questo modo, giusto o sbagliato che sia, tornassi indietro lo rifarei perché mi sono accorta di cosa mi sarei persa rischiando di arrivare a trent’anni senza aver vissuto.

Ho cercato sempre di mantenere un certo equilibrio tra la vita d’atleta e quella di studente. Chiaro che se ti chiami Federica Pellegrini magari queste cose non le puoi fare. Ma per la mia felicità personale, per come sono fatta io e per quello che avevo bisogno io, ho ritenuto più giusto fare così. Mi piaccio come sono.

Ma quando hai iniziato ad allenarti seriamente ce lo avevi un sogno specifico per il nuoto?

«Si certo. Da bambina sognavo di andare alle Olimpiadi. Come tutti penso.  Poi uno mette i piedi nella realtà e si rende conto che se fosse facile partecipare, ci andrebbero tutti. Per quanto io ovviamente non demorda, mi sono resa conto che ci sono altri obiettivi più alla mia portata. Penso che per qualsiasi atleta sia importante prendere coscienza delle proprie reali possibilità. Essere cioè consapevole che non tutti possono diventare campioni olimpici e che faccia di tutto per raggiungere il suo massimo.

Vedendo oggi la vita che fanno le quindicenni dedicate esclusivamente al nuoto, ringrazio i miei genitori  quando anche per me si è aperta questa possibilità proprio durante l’ultimo anno di liceo e mi hanno detto: “No. Concludi gli studi nella tua città. Quando avrai 18 anni avrai tutto il tempo per  trasferirti e dedicarti al nuoto”.

Quindi alla fine cosa hai messo davanti a tutto?

«Ho messo davanti qualcosa che dovevo cogliere in quell’istante: l’ultimo anno di liceo, la maturità. Non ce ne sarebbe stato un altro. Il nuoto sapevo benissimo che avrei continuato e mi avrebbe tenuto impegnata per molto tempo ancora con altre esperienze.

Ribadisco il tutto va contestualizzato ed è soggettivo. Questo è ciò che ha funzionato per me non è detto che funzioni per gli altri. Porto l’esempio della mia amica e compagna di squadra Arianna Castiglioni. Lei è un talento puro e va forte. Nonostante abbia raggiunto risultati di grandissimo prestigio è riuscita  sempre a conciliare la vita di tutti i giorni.

Ad oggi io sono fiera di questa scelta  perché ho delle amicizie al di fuori del nuoto che mi danno equilibrio. Un gruppo fantastico di amiche che non avrei se non avessi concluso il liceo nella mia città. Non rimpiango nulla.

L’altro giorno il mio fidanzato mi ha lanciato una provocazione dicendomi se accettassi di scambiarmi con qualsiasi altro atleta al mondo che ha vinto mondiali e altri titoli. Io ho risposto decisa: “No”. Credo che ogni atleta debba accettarsi così com’è e debba anche preoccuparsi della persona che vuole essere in questa società.

La carriera sportiva, a prescindere dalle medaglie, è una bellissima parentesi della vita e tale resta. Prima o poi il nuoto finisce e fuori dallo sport  esiste un modo completamente diverso a cui interessa poco cosa hai vinto».

MassimilianoRosolino
Campione Olimpico Sydney 2000

NOTA: Se vuoi approfondire l’argomento ne ho parlato con l’olimpionico Massimiliano Rosolino  in questa mia intervista esclusiva Come superare la delusione di una sconfitta e riconquistare la fiducia in se stessi

 

 

 

Adesso te la lancio io la provocazione per farti osservare la stessa cosa da un altro punto di vista. Non è che invece tu stessa a priori ti sei allenata con il freno a mano per paura magari di raggiungerli quei sogni?

«No, no. Di questo sono sicura. Sono realista. A un certo punto mi sono resa conto che il mio corpo aveva raggiunto il suo limite. Oltre non era capace di andare.  Non sono dispiaciuta per questo. Ho accettato il limite che mi ha posto e la vivo serenamente impegnandomi sempre al 110% e pretendendo da me stessa però il massimo che il mio corpo mi concede.

Da questo punto di vista ti dico che per fortuna  ho ragionato in questi termini senza fissarmi e restare delusa di non aver uno specifico talento nel  nuoto. Se avessi rinunciato a tutto per l’ossessione del sogno senza accorgermi che realisticamente non avevo le capacità per raggiungerlo, mi sarei persa tante altre cose della mia adolescenza, come l’ultimo anno di liceo. In questo caso si che l’avrei vissuta malissimo».

LA PRECOCIZZAZIONE NELLO SPORT 

NOTA: Quanto appena descritto dall’atleta è di estrema importanza. In qualsiasi disciplina infatti accade che giovani promesse, a cui viene fatto credere di essere dei potenziali futuri campioni, perdono il contatto con la realtà. Non sono realmente consapevoli delle proprie capacità. Quando se ne accorgono è già troppo tardi e l’ossessione lascia spazio alla delusione di non aver vissuto il tutto con un approccio differente.  Un impegno a cui è mancato un sano equilibrio e il vivere l’esperienza con serenità. Come più volte sottolineato in questo blog credo che “gridare al campione” alla giovane età sia inopportuno. Le vittorie giovanili non significano nulla. Il campione si vede nella distanza.

Tema questo che ho già trattato  nel mio articolo Vince chi molla – L’arte di lasciare andare  dove metto in risalto anche un altro argomento fondamentale: la convinzione-sociale sportiva che oggi l’età media in cui si crede  essenziale diventare precocemente specifici in una disciplina, si è abbassata tantissimo.

A parte rari casi di discipline come la ginnastica dove iniziare giovanissimi è legato allo sviluppo della fisicità tipica di questo sport, nella stragrande maggioranza degli altri, invece questo approccio è deleterio. Non si lascia il tempo ai bambini di provare diverse discipline utili primi di tutto per lo sviluppo cognitivo che avviene grazie ai diversi schemi motori appressi dalla varietà sportiva, e poi per imparare a saper scegliere uno sport che lo appassioni veramente.

All’interno dell’articolo porto l’esempio di due grandi atleti che hanno vissuto questa condizione: la due volte campionessa olimpica di ciclismo Antonella Bellutti a cui, talento dell’atletica leggera, a 17 anni, in seguito ad un infortunio era stato detto che la sua carriera sportiva era finita in ogni disciplina…considerata l’età; e il campione del mondo di salto in alto Gianmarco Tamberi, ex giocatore di basket che a 17 anni decise di dedicarsi all’atletica.

A tal proposito Letizia aggiunge: «Parliamoci chiaro: talenti come la Pellegrini ce ne uno capace di resistere ad altissimo livello per tutto questo tempo. Infatti stiamo parlando di una leggenda. Tutti gli altri  dobbiamo allenarci una vita prima che il corpo esegua determinati tempi. Impossibile paragonarsi a lei. È su un altro pianeta».

IL PERCORSO DI MENTAL COACHING

Subito dopo le Universiadi di Napoli, quando hai deciso di incontrarmi, mi hai raccontato che da quattro anni ti sentivi bloccata. Cos’è scattato in te durante le Universiadi?

Gioco Interiore sport mental coach Aurora Puccio - Letizia Paruscio «A partire dai 18 anni, mentre ero a Roma,  mi era presa la fissazione di dover continuare a dimostrare quanto valevo. Mi sentivo sempre sotto pressione. Qualsiasi cosa facessi di buono non era mai abbastanza. La prima volta che sono arrivata terza ai campionati assoluti e il tempo non era eccellente. non mi sono goduta questo primo successo parziale come spinta per migliorarmi.

Dal punto di vista mentale questa cosa mi destabilizzava perché mi sono messa in discussione e ho iniziato a vivere il nuoto molto male, con la preoccupazione di chiedere a me stessa cosa volessi realmente fare da grande; visto che il nuoto prima o poi sarebbe finito dovevo pensare a formarmi per crearmi un futuro.

Non riuscivo più a nuotare neanche a dorso. Ero paralizzata. Avevo perso tutto: la concentrazione, la nuotata, la sensazione di quello che stavo facendo in acqua. La definizione giusta è che ero nel caos più totale. Pertanto lascio Roma per tornare a casa mia a Como dove ritrovo il mio allenatore che inizia a rimettermi in forma. Nel frattempo decido di iscrivermi al Politecnico di Milano.

Quando nell’aprile del 2019 ho riaffrontato gli assoluti. La gara non è andata male però neanche bene come speravo perché non ho fatto il tempo che mi aspettavo. Nel nostro sport il tempo è tutto. Quella notte mi ricordo di non aver neanche dormito. La mattina mi sono alzata nervosa.

Ero in crisi nera. Come se fossi obbligata a chiudere un capitolo della mia vita nel momento sbagliato. Prima o poi è chiaro che arriva.

Però sentivo dentro di me che non era ancora finita. Ero arrabbiata con me stessa perché per colpa della mia solita testa,  per l’ennesima volta avevo fatto una gara male. Non mi stavo esprimendo il massimo delle mie capacità.

Continuavo a nuotare accompagnata da una tristezza infinita. Non mi sentivo pronta per smettere. Non era così che avrei voluto chiudere questo capitolo della mia vita.

Quando  mi hanno proposto di partecipare alle Universiadi e che per riuscirci avrei dovuto ottenere un limite di tempo per la qualifica, è stata una notizia inaspettata. Anziché viverla con gioia, visto lo stato d’animo in cui mi trovavo, l’ho vissuta come il peggior incubo della mia vita. Nel frattempo ovviamente per allenarmi bene ho rinunciato a seguire le lezioni di Fisica e di Matematica all’università.

Tutti i giorni ero in piscina e non ero per niente tranquilla. Ci tenevo troppo a partecipare a un evento così importante. Per di più in Italia. Però mi creavo da sola tanta pressione. Tre settimane di tensione prima di ricevere la mail con la convocazione ufficiale. Quel giorno lì finalmente ero felicissima e qui mi è successa una cosa strana. Sai quando hai l’adrenalina a mille e poi inizia a scendere? Ecco io la mia l’avevo esaurita tra la tensione dei campionati italiani, quelle tre settimane di attesa per le Universiadi a cui si è aggiunta quella del concorso per entrare nel gruppo sportivo dell’Esercito poi superato.

A tal proposito ci tengo a ringraziare tantissimo l’Esercito per il sostegno e l’opportunità che mi offre di proseguire la mia carriera con più serenità sotto tutti i punti di vista, sia logistici che economici. Allenarmi avendo a disposizione i mezzi necessari, per fare ciò che amo al meglio delle mie possibilità, richiede un impegno maggiore per me stimolante. Quando scendo in acqua non lo faccio solo per me stessa. In quel momento sto rappresentando anche il mio gruppo sportivo; una grande responsabilità di cui vado molto orgogliosa.

Pertanto, nel giro di poco tempo, si sono sovrapposti troppi obiettivi tutti importanti in ugual misura e non sono stata in grado di gestirli al meglio. Esauritasi l’adrenalina sono andata gareggiare alle Universiadi svuotata.

Ero apatica, per niente agitata.

Così quando sono rientrata da Napoli ho detto basta. Era il momento di mettere ordine ai miei pensieri agitati, devastanti e di vivere il nuoto al meglio delle mie possibilità con uno stato d’animo tranquillo e sereno.  Non potevo più andare avanti in quel modo. Se prima davo in piscina il 110% adesso volevo dare il 200%. Volevo vincere la sfida più importante: gestire la mia testa.

Sapendo che avevo problemi durante le gare ho capito di aver bisogno di qualcuno che mi seguisse in questo percorso. Non era più ammissibile gareggiare come se il mondo mi stesse crollando addosso da un momento all’altro. Avevo bisogno di una persona di cui fidarmi al 100% senza perdere altro tempo. E qui mi sono sentita fortunata a trovare subito te perché temevo di doverne girare due o tre prima di trovare quella giusta».

Qual è stato il vantaggio di aver intrapreso questo percorso e cosa hai imparato…

Gioco Interiore sport mental coach Aurora Puccio - Letizia Paruscio«Prima cosa che adesso quando gareggio non sono più in guerra con me stessa. Soprattutto mi ha dato serenità. A prescindere dall’ ansia per la prestazione che deve esserci, adesso so come affrontarla. Prima entravo in acqua e dimenticavo persino la mia nuotata. Ho imparato durante gli allenamenti ad ascoltarmi di più, a osservare le mie sensazioni e i miei pensieri sapendoli gestire come alleati e non più vivendoli come nemici.

Ho messo ordine nella mia prestazione. Mentre prima in allenamento ero in un modo e in gara succedeva l’opposto, adesso ho integrato il tutto. Adesso sono consapevole di ciò che sto facendo, della mia testa e sono più attenta ai dettagli che fanno la differenza.

Quando ci siamo incontrate la prima volta però mi hai confessato che in realtà all’inizio eri un po’ scettica su questi percorsi. Non sapevi cosa aspettarti…

«In passato ero stata mandata a fare altri tipi di percorsi. Utili per carità ma non mi davano nulla di concreto e pratico a livello sportivo per superare i problemi in gara. Non avevo strumenti per trasformarli. A me serviva un modo per imparare a canalizzare le mie energie correttamente e gestire al meglio la mente».

E poi come hai fatto a scegliere?

«A parte che si vede lontano un miglio che sei una persona fidata, seria e trasparente. Quando ho fatto le mie ricerche e ti ho trovata, ho visto il tuo sito, letto le recensioni e tutte le esperienze che avevi fatto e mi hai ispirata. Poi quando ci siamo incontrate ne ho avuto la conferma. Mi è piaciuto il tuo approccio; a pelle mi sono trovata bene.

Soprattutto mi sono sentita che potevo fidarmi. Penso che la fiducia sia un elemento fondamentale. Quando mi hai illustrato il tuo modello di percorso specifico per le mie esigenze, sei stata chiara e trasparente. Non mi hai illusa. Mi hai detto sinceramente che tutto dipendeva dal mio impegno e da cosa ero disposta a fare per ottenere ciò che desideravo».

Per cui iniziamo ad allenarci insieme e tra i tanti allenamenti ne cominciamo uno specifico sulle tue credenze. Ti aspettavi quanto le credenze fossero destabilizzanti sia per l’aspetto tecnico che per il gioco interiore e mentale?

«Sono ancora oggi sbalordita di come cambiando alcune credenze io sia riuscita ad assumere il controllo di me di quello che sto facendo sia in allenamento che in gara. Incredibile. Non è stata ovviamente una cosa che è avvenuta da un giorno all’altro. Tutto è avvenuto in modo graduale e se ci penso sinceramente è andato oltre ogni mia più rosea aspettativa.

In pochi mesi sono riuscita a cambiare il mio approccio rendendolo più efficace. Ho accettato il fatto di essere in un certo modo e di guardare me stessa e non gli altri. Questa chiarezza l’ho ottenuta con questo allenamento fatto insieme. E l’obiettivo che mi ero prefissata di essere serena e tranquilla l’ho raggiunto.

Adesso affronto le gare con un altro spirito. So che può andar bene come può andar male. Quella sensazione del mondo che mi crolla addosso, non ce l’ho più. In aggiunta quando vado ad allenarmi e a gareggiare sono molto più felice di prima. Vado a fare con gioia ciò che più mi piace: nuotare.

La serenità conquistata mi permette di eseguire gli allenamenti al meglio delle mie possibilità».

Gioco Interiore sport mental coach Aurora Puccio - Letizia ParuscioA parte il lavoro sulle credenze, poi sono stati fatti allenamenti specifici sui dettagli della performance, che qui non diciamo per ovvi motivi ( ridiamo). Te li aspettavi?

«Sinceramente no. Erano dettagli a cui non avevo mai pensato prima o che davo per scontati senza dargli la giusta attenzione. Mi sono resa conto che in gara bisogna fare le stesse cose che si fanno in allenamento sia dal punto di vista mentale che tecnico. Senza inventarsi nulla. Se un atleta si prepara anche mentalmente durante gli allenamenti, in gara sa già cosa deve fare».

E qui sveliamo al lettore un retroscena raccontando l’aneddoto della play-list musicale… uno pensa la musica cosa c’entra  con la performance e invece per quanto mi riguarda c’entra e molto. Tutto però potevo immaginare tranne che dover controllare anche il dettaglio musicale. Ma poi ho notato che anche per gli altri atleti giovani si ripeteva la stessa cosa.

(ridiamo al ricordo)

«Si certo! Durante il periodo tutt’altro che magico delle Universiadi, quando appunto stavo male, ho scoperto il cantante Ultimo con le sue canzoncine tutt’altro che allegre. Prima della gara o degli allenamenti ascoltavo quelle. E non mi rendevo conto che mi affossavano di più. Quando un giorno mi hai chiesto che musica ascoltassi, onestamente facevo fatica a capirne il nesso con il nostro allenamento. Ma quando poi mi hai spiegato gli effetti della musica sul nostro stato d’animo e sul corpo, ho realizzato quanto quelle melodie mi influenzassero negativamente. Non ero consapevole. Adesso Ultimo lo ascolto a fine giornata oppure in altre occasioni quando so che sto per passare una giornata in relax».

LA MEMORIA DELL’ACQUA E LA MUSICA

Letizia non è l’unica. Altri atleti hanno avuto, senza rendersi conto, lo stesso problema. Da ex atleta davo per scontato che una play-list fosse costruita per dare carica. Mai avrei potuto immaginare questa situazione riscontrata in altri giovani atleti scoprendo come fosse di moda  ricercare questi stati di tristezza e infelicità attraverso le canzoni senza distinguerne i momenti opportuni per l’ascolto.

Gli effetti della musica sul nostro corpo  che ricordo è fatto per il 70-80% di acqua, è stato studiato dal saggista giapponese Masaru Emoto nei sui famosi studi intitolati la memoria dell’acqua e citati al minuto 1:26 nel trailer del film documentario “Un altro mondo” del regista Thomas Torelli. Anche se di breve durata, riuscirai a comprendere l’incredibile potenza della musica negli stati d’animo oltre all’importanza di comprendere come anche il pensiero sia una frequenza energetica.

LA VISUALIZZAZIONE

Poi ti sei impegnata molto nell’allenamento mentale legato alla visualizzazione…

«L’allenamento sulla visualizzazione sia per la tecnica che per la preparazione della gara è stato fondamentale. Se un atleta prima visualizza e poi mette in pratica la tecnica, cambia tutto. Chiaro ci vuole tempo e all’inizio fai un po’ di fatica, ho notato però  notevoli differenze».

C’è stato il lockdown e poi sei ritornata in acqua, com’è stato il rientro e come ti ha aiutato la visualizzazione e il percorso fatto insieme?

«Chiaro che l’elemento aria non è uguale all’elemento cloro però continuando ad allenarmi con le visualizzazioni quando sono rientrata non ho perso tempo nel ritrovare la mia nuotata. Era come se avessi smesso il giorno prima. L’ho provata così tante volte in testa che poi rimettendomi a nuotare è stato tutto naturale. Mi sono dovuta preoccupare solo di riprendere ovviamente la forma fisica e la sensibilità in acqua. Senza questo allenamento magari avrei impiegato due mesi piuttosto che uno solo com’è accaduto».

IL GOLFISTA PRIGIONIERO - George Hall golfNOTA: Tanti atleti a prescindere dalla disciplina, guidati dalla paura di perdere così tanti mesi, concentrati solo sull’aspetto fisico e tecnico hanno dimenticato di avere a disposizione una palestra sempre aperta: la mente. C’è ancora poca fiducia nelle sue potenzialità e per questo motivo poco usata. A tal proposito ti invito ad ascoltare l’audio-storia del Golfista prigioniero. Una storia vera che ti farà riflettere sull’importanza di allenarsi mentalmente.

All’inizio eri un po’ scettica. Adesso che hai compreso come funziona il percorso, cosa ti senti ti dire in merito?

«Prima di tutto col senno di poi inizierei questo percorso da piccola. Mi sarei evitata molte crisi e avrei affrontato le gare diversamente. Sfortunatamente ho avuto esperienze di aiuto che mi hanno fatto perdere altro tempo e fiducia. Ho pensato non servissero a niente. Invece questa nuova metodologia ha un approccio totalmente diverso. Mi sarebbe piaciuto scoprirlo prima.

Mi è piaciuto essere seguita a 360 gradi. In qualsiasi momento delicato sapevo che avrei potuto chiamarti. Non è che accadeva sempre ovviamente. Però sapere che eri presente mi ha fatto sentire supportata al 100%.

Ecco tornassi indietro mi sarebbe piaciuto farlo prima e in generale penso che un percorso di questo tipo  potrebbe essere utile anche ai genitori».

UN NUOVO SOGNO, UNA NUOVA SFIDA

Gioco Interiore sport mental coach Aurora Puccio - Letizia ParuscioHai un sogno?

«In questo momento il mio sogno più grande è riuscire a esprimere finalmente il mio massimo. Scoprire realmente fin dove posso arrivare grazie a questa nuova serenità conquistata. Una sfida con me stessa. Tutto questo dove mi porterà non lo so ancora. Spero a realizzare un altro sogno che per ora tengo per me.

Quando smetterò vorrei poter dire di avercela messa tutta, di essermi impegnata al 200% e di chiudere la carriera senza nessun rimpianto. Tutto quello che arriva va bene, l’importante che io non mi sia risparmiata».

Quindi alla fine il nuoto cosa ti avrà insegnato?

«Il nuoto mi avrà insegnato che se vuoi ottenere una cosa, a prescindere se ci riuscirai oppure no, ti devi impegnare tanto, con passione e dedizione. Anche solo per provarci. Rischio magari di dire qualcosa già sentito milioni di volte che conta più il viaggio della meta ma è la verità. Tra dieci anni mi ricorderò tutte le esperienze, belle e brutte del nuoto. Non sarà un ricordarsi “ho vinto questo titolo piuttosto che ho fatto questo gran tempo”.

No. Sarà altro. Sarà il ricordo di tutto ciò che ho vissuto. Una parentesi della mia vita importante sapendo però che non sarà l’unica. Il nuoto prima o poi finisce e fuori c’è un altro mondo completamente diverso. Se non ci si prepara e si mantiene un giusto equilibrio si rischia di farsi molto male».

NOTA: Anche in questo caso, caro il mio lettore, ho da proporti una audio- storia per rafforzare la tesi del viaggio e ascoltandola avrai il vantaggio di far tesoro di un’esperienza altrui per evitare che accada pure a te. Questa è la parte che non ha niente a che vedere con il gesto tecnico perché è compito del gioco interiore occuparsene.

Questa audio-storia ormai la cito spesso perché mi ha veramente colpito tanto e l’ho intitolata:

LA PAURA DI VINCERE - Gregorio Paltrinieri nuotoLa paura di vincere tratta dal libro Il peso dell’acqua dell’olimpionico di nuoto Gregorio Paltrinieri. Vincere una medaglia olimpica, il sogno di una vita e aver vissuto tutto il viaggio con la paura di fallire a tal punto da non essere felice nel giorno  in cui quella medaglia finalmente è appesa al tuo collo.

RIPILOGO TEMI TRATTATI

Adesso facciamo un rapido riepilogo dei temi trattati:

Lo sport e i bambini: Tutti sono d’accordo che i bambini devono praticare sport. In pochi però lasciano loro la possibilità di provarne diversi per scegliere quello che piace veramente a loro, al netto ovviamente di problemi logistici e di tempo, ciò che conta è il principio. Alla base di tutti gli sport la ginnastica ancora oggi resta fondamentale. Non si sbaglia mai. Oggi la maggior parte dei ragazzi hanno problemi di coordinazione, di agilità e rapidità nei movimenti.

Precocizzazione: specializzarli troppo presto per paura che non possa assimilare la tecnica ha come rovescio della medaglia un alto rischio di abbondono. Soprattutto quando già da piccoli vengono pressati sul “vincere”. Ribadisco sempre che il campione si vede nella distanza e non nelle medaglie vinte nella fascia di età compresa tra gli 11 e i 16 anni.

Divertimento: Il divertimento è una cosa seria. Nel tempo cambia forma ma resta un elemento imprescindibile. La mente impara con il gioco. Se si appesantisce il gioco interiore automaticamente ne risentirà anche il gesto tecnico. Questo un tema spesso controverso perché il termine “divertimento” viene associato solo alla “leggerezza e superficialità” mentre fa parte del processo di allenamento e assume delle caratteristiche differenti che includono ad esempio la fatica degli allenamenti, l’adrenalina della gara, l’ansia, l’attesa dei risultati e altro ancora. Tutto è divertimento per un atleta anche di alto livello.

La sfida con se stessi: L’unica sfida possibile è con se stessi. Essere consapevoli dei propri limiti e tendere sempre al proprio massimo con la serenità di non restare delusi alla fine del viaggio durante il quale, desidererete sempre vincere. Ed è giusto che sia cosi perché non si va in gara per partecipare. Occorre però accettare  il verdetto finale sia che abbiate vinto oppure no.  E anche se dovessero arrivare medaglie e titoli, non crogiolatevi nel loro apparente luccichio perché un giorno tutto verrà dimenticato e di voi resterà solo la persona che siete diventate per raggiungerle. Per questa ragione godetevi l’esperienze del viaggio, qualunque esse siano e ricercate la versione migliore di voi stessi grazie allo sport. Tutti vogliono andare alle Olimpiadi ma se fosse facile ci andrebbero tutti.

Gioco interiore e gioco esteriore: entrambi fanno parte della vostra performance. Dare più importanza all’uno piuttosto che all’altro, significa regalare agli avversari gran parte del vostro potenziale inespresso. Cosa peggiore però che tale potenziale resterà a voi sconosciuto. Non esiste separazione. Esiste un gioco totale dove ognuno ha il suo compito da svolgere. Entrambi vanno allenati.

 EPILOGO

Letizia ha avuto il grande merito di prendere la decisione di porre fine ai suoi blocchi. Soprattutto si è impegnata tanto allenandosi con costanza. Vedere i suoi occhi riacquistare una nuova luce fatta di serenità e consapevolezza, sentirla nuovamente padrona del suo gioco interiore, è stata una vittoria “invisibile” davvero emozionante.

L’allenamento mentale, il gioco interiore o in qualsiasi altro modo vuoi chiamarlo, è un allenamento astratto che assume la forma della praticità attraverso l’azione deliberata dell’osservazione che porta a un’azione del corpo diversa dal gesto tecnico consueto.

Non puoi vederlo con lo stesso sguardo con cui osservi la tecnica o i tuoi addominali scolpiti dopo una serie infinita di esercizi. Non puoi.

Il gioco interiore non lo puoi afferrare. Puoi sentirlo. Anche per lui esistono degli esercizi che portano alla realizzazione di quel cambiamento che, come nel gioco del domino a catena porterà dei benefici non solo in ambito sportivo.

Un altro elemento essenziale per ottenere risultati con il gioco interiore è avere fiducia nel processo di allenamento. All’inizio può sembrare faticoso. Anche quando eravamo bambini prima di correre abbiamo imparato a gattonare, poi a camminare e infine a correre. Si tratta di un percorso naturale e vale anche per l’allenamento mentale.

La strategia del tutto e subito, mi spiace non funziona nel lungo termine. Nel breve può anche portarti qualche medaglia per una gloria momentanea pronta a svanire nel tempo, come tutte le cose costruite di fretta.

E in questa strategia malsana il gioco interiore viene puntualmente messo da parte. Non c’è tempo da dedicargli. Sulla bilancia quasi sempre a pesare oltre agli errori tecnici che possono starci,  ci sono problemi di approccio alla gara, di gestione della tensione, il non essersi allenato a gestire l’imprevisto dando tutto per scontato. Pensi di curare i dettagli e in realtà nel gioco interiore a parte pensare alla concentrazione, ne dimentichi tante altre, tra le quali le più importanti sono credenze e convinzioni.

Ringrazio il gruppo sportivo dell’Esercito per aver permesso quest’intervista.

Ringrazio Letizia per la sua testimonianza e soprattutto per il suo estremo impegno nel permettere a se stessa di mettere  pace al suo gioco interiore; una vittoria invisibile e altrettanto meravigliosa quanto una medaglia.

Buon allenamento e ricorda di portare con te il tuo…gioco interiore :-)!!

Aurora

 

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(le immagini sono state fornite dall’archivio personale dell’atleta Letizia Paruscio)

 

Aurora Puccio
About Aurora Puccio
Ciao! Sono Aurora la mia filosofia è invitare le persone a guardare le cose da angolazioni differenti, partendo dall'atteggiamento mentale con il quale si osserva una situazione. Lo sport è la mia più grande passione insieme ad altre forme artistiche come teatro e scrittura, che in questi articoli si intrecciano con armonia per darti degli spunti sull'allenamento mentale.
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